Il corpo da Carol Rama in poi

A Casa Testori sono affiancate giovani artiste che indagano il rapporto con il corpo a colei che più di tutte ne evidenziò funzioni e disfunzioni

«Fiorisce dalle ossa» (2022) di Iva Lulashi
Monica Trigona |  | Milano

Si chiamano Margaux Bricler, Binta Diaw, Zehra Doğan, Iva Lulashi, Giorgia Ohanesian Nardin e Iman Salem le artiste selezionate per la mostra «Segni di me. Il corpo, un palcoscenico», a cura di Rischa Paterlini con Giuseppe Frangi, visitabile da sabato 2 aprile sino al 25 giugno negli spazi di Casa Testori.

A distanza di tre anni dall’ultima iniziativa dedicata all’emisfero della creatività femminile, con la collettiva «Libere tutte», l’attenzione viene rivolta nuovamente a coloro che secondo Lea Vergine hanno sempre sofferto di ricevere adeguato riconoscimento: le donne. Che si tratti di condizionamenti antropologici o sociologici non importa sottolinearlo quanto ammettere che obiettivamente certe voci della creatività più raffinata, una su tutte Carol Rama, siano state per diverso tempo marginali all’interno del panorama artistico.

L’artista torinese, «riscoperta» grazie ad una celebre mostra curata da Lea Vergine nel 1980, soprattutto agli esordi, aveva approfondito temi carnali e introdotto nelle sue composizioni soggetti inconsueti legati al corpo ed alle sue funzioni (scarpe, dentiere, protesi persino lamette da barba) così come rappresentato donne mutilate, legate al letto o alle sedie a rotelle. Il repertorio iconografico che in maniera quasi feticista si rincorreva nella sua opera oggi acquista nuovi significati anche alla luce delle diverse esposizioni che si interrogano sulle trasformazioni dell’uomo, sulla relazione tra gli individui e le tecnologie. Le sei giovani protagoniste di Casa Testori, tutte nate tra il 1985 e il 1995, si sono relazionate proprio con l’eccentrica torinese nel presentare il frutto del loro lavoro.

Il corpo, e le sue implicazioni, è predominante così come l’esperienza soggettiva a monte delle ricerche esposte (Carol docet). Concetti quali sessismo, violenza e strutture di potere fanno da sfondo a opere «potenti», provocatorie, dall’indubbio fascino. Dipinti, sculture, performance, disegni e fotografie arricchiscono un percorso in cui subentra un altro attore, il «padrone di casa» Giovanni Testori, con una serie di grandi disegni con soggetto il corpo femminile.

Gli oli dalle tonalità carnali di Lulashi, le fotografie sensuali di Diaw, le figure ambigue e mutilate di Doğan, le animalesche sculture femminili di Bricler, le delicate immagini di Salem e la performance di Ohanesian Nardin, sempre in rapporto con le opere storiche, parlano di una stessa esigenza di rivendicazione del corpo che ha poco a che fare con pretese femministe quanto con la celebrazione di una nuova estetica e di nuovi equilibri.

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