Arturo Pregliasco, uno dei più stimati librai del mondo

Il ricordo del figlio Umberto per la scomparsa, all'età di 90 anni, del grande libraio antiquario che catturava libri e biblioteche

Arturo Pregliasco
Umberto Pregliasco |  | Torino

«Da ragazzino aiutavo mio padre Lorenzo come garzone, consegnando in bicicletta pacchi di libri e lucidando legature. Mio padre aveva iniziato alla grande, in libreria venivano Gobetti, Croce, poi Luigi Einaudi, poi le due guerre ne avevano frenato l’ascesa. Negli anni Cinquanta acquisimmo, grazie a prestiti e rinunce, la grande biblioteca del viceré napoleonico Melzi d’Eril. Dopo la Lambretta arrivò una Seicento multipla per trasportare le biblioteche che all’epoca si acquisivano ogni mese...».

Ne ha fatta di strada mio padre Arturo («Nene» per gli intimi), dai polverosi libri usati proposti da suo padre sin dal 1912 fino a diventare uno dei più stimati librai del mondo. Dopo decenni di appassionato lavoro, che soltanto una degenerazione della vista poteva frenare, ha lasciato un vuoto nell’antiquariato librario mondiale (Arturo Pregliasco è morto il 17 gennaio, Ndr).

Non prima di aver celebrato nel 2012 alla Columbia University il centenario dall’apertura della libreria, e l’anno scorso quello del Catalogo n. 1 e aver raggiunto i novant’anni. E provato l’orgoglio di aver partecipato insieme a Umberto Eco all’inaugurazione della mia libreria di New York. Con l’aiuto della conoscenza, molto sabauda, del francese aveva studiato l’inglese alla sera, con umiltà e felice preveggenza: fu il primo libraio antiquario italiano a partecipare alle mostre e alle aste, anche negli Stati Uniti sin dal 1967, indicando la strada ai connazionali che lo hanno seguito.

Quando però entrava in una mostra o in una sala di vendita all’asta la sua eleganza, la folta capigliatura, prima brizzolata e poi candida, i suoi occhi azzurri penetranti, suscitavano rispetto e i presenti erano consapevoli che sarebbe stata dura combattere con lui per un buon libro. Per me è stato un grande maestro, comunicandomi più l’istinto per il libro che la teoria e lasciandomi da subito molte responsabilità: fu un raffinato bibliofilo ma anche e prima un amante del libro a tutto tondo.

Mi ha anche instillato il dovere di occuparsi dei problemi dell’intera categoria, servendo (felice espressione anglosassone) come presidente l’Associazione italiana nel 1970-76 e quella mondiale vent’anni più tardi. Di fatto, obbligando anche me a ricoprire tali impegnative cariche. «È andato a cercare la biblioteca infinita» recitava il suo necrologio, ma era anche amante del mare e della montagna, così come della buona tavola e ricordava con orgoglio di essere stato tra i soci fondatori di «Il Giornale dell’Arte».

«Per decenni ho vissuto incredibili esperienze, scoperte, viaggi e incontri straordinari, mostre e aste epocali. Mi piace pensare di aver lasciato una piccola traccia nel mondo della bibliofilia, con gli oltre 200 cataloghi redatti in sessant’anni di attività, nelle migliaia di libri rari accuratamente descritti che oggi si trovano in biblioteche private e pubbliche di tutto il mondo. Vivere insieme, e grazie ai libri è stato un grande privilegio».

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