Scandalosa Leonor da Tommaso Calabro

Francesco Vezzoli ha convocato intorno alle ambigue creature di Fini, le opere dei suoi amici Clerici, de Chirico, Ernst, Tanning

«La Chambre de Leonor» (1967) di Stanislao Lepri
Ada Masoero |  | Milano

Fu Max Ernst, con cui lei ebbe una delle molte «amitiés amoureuses» di una vita sempre all’insegna della libertà, della teatralità, dello «scandalo», a ribattezzare Leonor Fini «Italian Fury», sedotto, appunto, dalla sua «scandalosa eleganza, capriccio e passione».

Nata a Buenos Aires nel 1907, cresciuta con la madre, dopo la separazione dei genitori, nella Trieste di Umberto Saba, Italo Svevo, Bobi Bazlen, James Joyce, formata a Milano all’Accademia di Brera (da Achille Funi, altro suo fugace compagno) e poi vissuta tra Parigi (dove morì nel 1996) e il resto del mondo, occupando ovunque un posto centrale nei circoli culturali più vivaci, Leonor Fini è stata un’artista di talento e una figura leggendaria per il suo fascino ambiguo, da lei accentuato con i frequenti travestimenti, cui del resto era stata abituata nell’infanzia, poiché la madre la vestiva da bambino per eludere i tentativi di rapimento del padre.

Nessuno meglio di Francesco Vezzoli poteva perciò curare una mostra su di lei, rispettosa della sua personalità come «Leonor Fini. Italian Fury», presentata da Tommaso Calabro dal 2 aprile al 25 giugno.

Vezzoli, cui già si doveva la curatela, qui, di «Casa Iolas. Citofonare Vezzoli», ha riunito intorno ai lavori di Leonor Fini, abitati da figure chimeriche, sfingi, creature misteriose e fluide, e dagli amati gatti, opere di Fabrizio Clerici, amico di una vita, Giorgio de Chirico, da lei frequentato a Milano, Max Ernst, che a Parigi la introdusse nel circolo surrealista (cui lei guardò, ma sempre con autonomia), Dorothea Tanning, moglie di Ernst e amica di Leonor. E, naturalmente, opere proprie, come il ricamo-omaggio «Enjoy the New Fragrance (Leonor Fini for Greed)», 2009.

Dei tanti uomini con cui Leonor Fini intrecciò la sua vita, nessuno propiziò la sua carriera d’artista, come accadde a tante altre compagne d’avventura: anzi, se mai fu lei a fare del diplomatico italiano Stanislao Lepri, con cui visse lungamente, un pittore. E proprio al dipinto di Lepri «La Chambre de Leonor», 1967, si è ispirato Filippo Bisagni nel creare l’allestimento della mostra.

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