Donatello, il padre vero del Rinascimento

Oltre 130 opere, con prestiti mai ottenuti in precedenza, compongono la mostra suddivisa tra Palazzo Strozzi e il Museo del Bargello. Ci accompagna il curatore Francesco Caglioti

Una veduta della mostra «Donatello, il Rinascimento», Palazzo Strozzi, Firenze, 2021. Foto Ela Bialkowska. Okno Studio Una veduta della mostra «Donatello, il Rinascimento», Musei del Bargello, Firenze, 2021. Foto Eka Bialkowska. Okno Studio Una veduta della mostra «Donatello, il Rinascimento», Palazzo Strozzi, Firenze, 2021. Foto Ela Bialkowska. Okno Studio Una veduta della mostra «Donatello, il Rinascimento», Musei del Bargello, Firenze, 2021. Foto Eka Bialkowska. Okno Studio Francesco Caglioti Una veduta della mostra «Donatello, il Rinascimento», Palazzo Strozzi, Firenze, 2021. Foto Ela Bialkowska. Okno Studio Una veduta della mostra «Donatello, il Rinascimento», Musei del Bargello, Firenze, 2021. Foto Eka Bialkowska. Okno Studio Una veduta della mostra «Donatello, il Rinascimento», Palazzo Strozzi, Firenze, 2021. Foto Ela Bialkowska. Okno Studio
Laura Lombardi |  | Firenze

A Palazzo Strozzi e al Museo Nazionale del Bargello si tiene, dal 19 marzo al 31 luglio, la mostra «Donatello, il Rinascimento», promossa e organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi e Musei del Bargello in collaborazione con gli Staatliche Museen di Berlino e il Victoria and Albert Museum di Londra, che riunisce circa 130 tra sculture, dipinti e disegni con prestiti unici, provenienti da oltre 60 sedi italiane e straniere. Ce ne illustra alcuni aspetti il curatore, Francesco Caglioti, professore ordinario di Storia dell’Arte medievale presso la Scuola Normale Superiore di Pisa.


Forse la più ampia mostra finora dedicata allo scultore. Quali sono le novità rispetto a celebrazioni precedenti del grande maestro?

Si tratta di una mostra molto ambiziosa, per dimensioni e scopi. È stata programmata prima dell’emergenza pandemica e le date non sono mai slittate perché il progetto è in partenariato con Berlino e Londra per tre edizioni concatenate. Ciò ha comportato non poche difficoltà (speriamo superate almeno in parte), considerato anche il grosso numero di restauri compiuti per questa occasione. Donatello è un artista per eccellenza «monumentale», al quale sono state dedicate di conseguenza poche iniziative di grande rilievo: ricordo le celebrazioni nel 1887 per il V centenario dalla nascita, al Bargello, divenuto Museo Nazionale nel 1865, celebrazioni che, come attesta il catalogo, riunivano ben poche sculture dell’artista, insieme a molte copie e oggetti di vari generi e tecniche, per «ricreare un’epoca».

Per il VI centenario furono organizzate, nel 1986, due mostre: una al Bargello, promossa da Paola Barocchi, il cui catalogo, concentrato sulle opere del museo, contiene importanti riflessioni sulla fortuna storica dell’artista, e l’altra al Forte Belvedere, «Donatello e i suoi», a cura di Alan Phipps Darr e Giorgio Bonsanti, che presentava opere del maestro ma soprattutto di vari scultori contemporanei.

La mostra attuale permette di considerare in maniera più larga e approfondita Donatello grazie a prestiti importanti di opere mai concesse per mostre precedenti. Tra i prestatori, oltre ovviamente ai Musei di Berlino e al V&A di Londra, la National Gallery of Art di Washington, il Metropolitan Museum of Art di New York, la National Gallery di Londra, il Louvre e il Musée Jacquemart-André di Parigi, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, le Gallerie degli Uffizi, le Cattedrali di Siena e Prato e le basiliche fiorentine di San Lorenzo, Santa Croce e Santa Maria Novella
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Come si articola il percorso espositivo?

La mostra, allestita da Luigi Cupellini, è in quattordici sezioni diacroniche: undici sono a Palazzo Strozzi, su Donatello dagli esordi alla morte, con il contrappunto di opere di altri artisti del tempo, tra cui Masaccio, Filippo Lippi e Andrea Mantegna. La seconda sala, in particolare, è incentrata sulla giovinezza di Donatello proposta da Luciano Bellosi, che ne riscoprì l’attività di coroplasta esordiente, intrecciata a quella, possibile, di Brunelleschi.

A questo nodo sono state poi collegate troppe altre opere, per cui abbiamo cercato, con Laura Cavazzini, Aldo Galli e Neville Rowley, di sottoporre questa produzione a una sorta di «giro di vite» per rendere il corpus più coerente. Con Arturo Galansino e Paola D’Agostino siamo grati ad Alan Phipps Darr, conservatore del Detroit Institute of Arts, che ci presta una terracotta, che non portò a Firenze per la mostra da lui stesso curata nel 1986.

Le ultime tre sezioni sono al Bargello, dove la prima è una sorta di grande cerniera, nel Salone di Donatello, con le sculture donatelliane che non possono essere spostate da quel luogo, quali il «San Giorgio» e il «David» in bronzo, e con la loro fortuna fino al Cinquecento. Nelle ultime due sale questa fortuna continua e si amplia, includendo anche opere come la «Madonna della scala» di Michelangelo
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Quali sono dunque i prestiti eccezionali?

Da Siena provengono tre dei sedici elementi in bronzo del Fonte Battesimale che, grazie alla collaborazione con l’Opificio delle Pietre Dure e con il soprintendente Marco Ciatti, sono stati splendidamente restaurati sotto la direzione di Laura Speranza (nell’ambito di una campagna più ampia su tutto il complesso) e figureranno quindi a Palazzo Strozzi prima di far rientro a Siena.

Ci sono inoltre i bronzi di Niccolò Baroncelli dalla Cattedrale di San Giorgio a Ferrara, anch’essi restaurati per l’occasione, e il cui confronto con le opere donatelliane permetterà considerazioni sulla tecnica di esecuzione. Non sarà invece presente, nelle edizioni fiorentina e berlinese della mostra, il rilievo della «Ascensione e consegna delle chiavi» del Victoria and Albert, un unicum iconografico, troppo delicato per viaggiare.

D’altronde le opere nelle tre mostre sono solo in parte le stesse: a Berlino, dove la mostra avrà dimensioni meno ampie, e a Londra mancheranno numerosi pezzi che sono solo a Firenze, come uno dei tre bronzi di Donatello al Musée Jacquemart-André; ogni sede avrà altre opere proprie e altri prestiti.



Che cosa rende Donatello così speciale?

Il ruolo di Donatello è cruciale non solo per il Quattrocento, poiché egli compie un vero ribaltamento culturale, i cui riflessi sulla vita e sull’opera degli artisti e sull’immaginario occidentale continuano per secoli. Donatello è unico nel suo modo di intendere l’antico, nel sovvertire il rapporto tra figure e pubblico, e nel costante giocare con i tempi della rappresentazione, prefigurando soluzioni che verranno comprese appieno solo nel Cinquecento o nell’Ottocento, o attuate addirittura nel Novecento (senza però conoscerne ormai i precedenti donatelliani).

Tra gli artisti contemporanei che seppero cogliere meglio la sua lezione, più che certi allievi diretti (Agostino di Duccio, Bertoldo, Bartolomeo Bellano), vanno considerati Masaccio, Mantegna, Vecchietta (allievo particolare, che conobbe Donatello già anziano e del quale è in mostra il «Crocifisso» ligneo della Cattedrale di Grosseto), e poi soprattutto Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Fra Bartolomeo, Jacopo Sansovino, Baccio Bandinelli, Benvenuto Cellini. Quindi anche, come accennavo, maestri del secolo successivo, perché non di rado la troppa vicinanza crea ipermetropia. Pontormo, ad esempio, guarda all’«Annunciazione» Cavalcanti di Donatello quando affresca la lunetta con «Vertumno e Pomona» nella Villa di Poggio a Cajano, come testimoniano alcuni disegni preparatori agli Uffizi.


A conclusione della «Vita» di Donatello, Giorgio Vasari riporta quel che Vincenzio Borghini, trovandosi di fronte a due «carte» di disegni «di mano di Donato e di Michelagnolo Bonarroti», scherzosamente commenta in greco e in latino (e Vasari traduce): «O lo spirito di Donato opera nel Buonarroto, o quello di Buonarroto anticipò di operare in Donato». In un brano privato della corrispondenza di Lorenzo il Magnifico, Gentile de’ Becchi, suo precettore, a proposito della Villa di Poggio a Cajano, lo invita a non fare nell’arte
come Donatello, ovvero a saper «bozzare» ma anche «finire»: prova che la «sprezzatura» donatelliana tanto amata nel Cinquecento era troppo avanti per il Quattrocento.


L’influenza di Donatello quindi nel Cinquecento, ma anche oltre?

Il percorso della mostra si spinge fino al Seicento con una coda «gentileschiana»: una «Madonna col Bambino» a Palazzo Pitti, attribuita ad Artemisia e connessa con un’altra sicura della pittrice e con altre ancora di suo padre Orazio e della sua bottega (il prototipo, del 1609, è a Bucarest). Dietro questa fioritura c’è un rilievo di Donatello, cosa mai sospettata finora.


Donatello è presentato come vero «padre» del Rinascimento: perché un grande storico dell’arte come Roberto Longhi non gli diede, nei suoi scritti, il giusto risalto?

L’Officina ferrarese, celebre testo di Longhi, dovrebbe recare il nome di Donatello quasi in ogni frase, ma la scultura non consentiva quella pirotecnica traduzione verbale che è propria della scrittura longhiana; la scultura non permette di soffermarsi sulla finzione immediata dello spazio, sul paesaggio, sulla perlustrazione della natura, e così via. Tuttavia, il torto maggiore che si fa a Donatello è di non riconoscere che è stato un grande maestro della prospettiva non solo nelle storie di rilievo (cosa che sappiamo tutti), ma anche e soprattutto nelle statue.

Le sculture di Donatello vanno tutte considerate in rapporto allo sguardo originario dell’osservatore, e il non tenerne conto può portare a gravi equivoci. Il «David» bronzeo al Bargello, ad esempio, non è un giovinetto gracile, dallo sguardo timido (addirittura innamorato di Golia che ha appena ucciso, com’è stato scritto), perché quella statua era in origine su una colonna e quindi si vedeva dal basso, trionfante, in maniera totalmente diversa rispetto a oggi.

Lo stesso si può dire del «Marzocco» al Bargello, il leone protettore di Firenze, che poggia con totale negligenza una zampa sullo scudo pubblico, mentre il suo sguardo era proiettato verso l’infinito; la scultura era in origine sopra una colonna ai piedi dello scalone dell’appartamento papale in Santa Maria Novella e non sembrava certo, come invece oggi, quasi un progenitore dei peluche
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Ci sono novità attributive?

Non ci sono opere mai viste da nessuno, ma per il grande pubblico le sorprese dovrebbero essere davvero tante. E spero anche per i più esperti, come un bronzo da ricollegare forse alla Cantoria di Donatello per il Duomo di Firenze, oppure una Madonna in terracotta di Nanni di Banco.

Leggi anche l'anticipazione del direttore di Palazzo Strozzi Arturo Galansino e del Museo del Bargello Paola D’Agostino

© Riproduzione riservata «David vittorioso» (1435-40 ca) di Donatello, Firenze, Museo Nazionale del Bargello
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