Sussurri e smorfie al Belvedere di Vienna

Gli autoritratti «disintossicanti» di Marc Quinn faccia a faccia con le «teste di carattere» di Franz Xaver Messerschmidt che per quegli autoritratti avevano ispirato l’artista londinese

«Emotional Detox II» (1995) di Marc Quinn (© e Cortesia di Marc Quinn Studio) e «Testa di carattere n. 33» (1777-83) di Franz Xaver Messerschmidt (© Belvedere Vienna. Cortesia di Marc Quinn Studio)
Flavia Foradini |  | Vienna

Fu solo nel 2002 che il Belvedere di Vienna diede vita alla prima grande mostra monografica dedicata allo scultore tedesco Franz Xaver Messerschmidt (1736-83) e alle sue «teste di carattere», di cui detiene la più vasta collezione. Da allora quegli studi fisiognomici di un protagonista assoluto del tardo Barocco sono diventati parte integrante del «discorso artistico» del museo viennese, che ha più volte fatto dialogare quei capolavori con opere di artisti contemporanei.

Tra le altre occasioni, nel 2005 con lavori di Tony Cragg in svariati materiali e nel 2013 con i ritratti creati negli anni Settanta dall’austriaco Arnulf Rainer. Ora, in occasione della mostra «Face to Face» aperta fino al 3 luglio, è Marc Quinn (Londra, 1964) a condividere per la prima volta il Belvedere Superiore con Messerschmidt, con la serie in otto parti «Emotional Detox»: autoritratti scultorei, a detta dello stesso Quinn ispirati proprio dalle teste di carattere dell’artista tedesco, attivo oltre due secoli fa.

Messerschmidt creò le sue «teste», come le chiamava semplicemente, verso la fine della sua vita, soprattutto quando si ritirò a Bratislava per sfuggire alle delusioni del mondo viennese che in più occasioni aveva stigmatizzato i suoi comportamenti bizzarri, tanto da produrre il suo prepensionamento nel 1774 a causa del suo «strano stato di salute».

Mentre a lungo si è ritenuto che lo scultore soffrisse di una malattia psichica, studi recenti dello psichiatra Michal Maršálek ipotizzano che l’artista, trasferitosi a Vienna attorno al 1755 per compiere i propri studi all’Accademia imperiale dove divenne poi docente di scultura dal 1769, soffrisse di distonia e che le teste siano anche un’espressione della sofferenza inflittagli dagli spasmi muscolari.

Nella prima metà degli anni Novanta Quinn si era già imposto all’attenzione internazionale tra le fila degli Young British Artists con la scultura «Self», per la quale aveva utilizzato anche il proprio sangue. Nel 1994 stava uscendo dalla dipendenza dall’alcol e ricorda di aver trascorso ore a osservare la scultura di Messerschmidt «L’intenso odore» al Victoria and Albert Museum di Londra.

Un titolo che come per le altre teste di Messerschmidt venne inventato dopo la morte dello scultore, interpretando la smorfia, l’arricciamento del naso, gli occhi ridotti a fessura, il labbro superiore contratto come per difendersi da una puzza, ma forse dalla vita stessa e da una sorta di disgusto esistenziale.

Da qui l’idea di Quinn di fissare nel piombo il forte impatto emotivo del travaglio psicofisico che stava vivendo egli stesso. «“Emotional Detox” rappresenta oggi uno dei più significativi gruppi di opere di Quinn: non solo per l’intensità delle raffigurazioni e per la magistrale abilità tecnica, ma anche per il suo carattere spiccatamente polisemico», spiega la curatrice di «Face to Face», nonché direttrice del Belvedere, Stella Rollig.

«Un autentico labirinto di evocazioni» aggiunge lo storico dell’arte Tim Smith-Laing, che vede nel termine «detox» un rimando a un processo catartico fissato in sculture che, contrariamente alla «sovrabbondanza espressiva» di Messerschmidt, in Quinn paiono prediligere la riduzione, con un’espressività vicina a un «sussurro che non ci fa sentire le parole».

© Riproduzione riservata Marc Quinn, «Fear of Fear», 1994. Per l’immagine, cortesia Marc Quinn studio «Seconda testa a becco» (1777-81) di Franz Xaver Messerschmidt. Cortesia Marc Quinn studio Marc Quinn, «The Seven Deadly Sins VI», 1995. Cortesia di Marc Quinn Studio
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