Sette milioni di fotografie per far circolare la conoscenza

Mostre tematiche, restauri, ristampe, studio ed esposizioni permanenti per l’imponente Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo. Il racconto di Aldo Grasso, critico televisivo e grande conoscitore di questo materiale

Una ragazza in Vespa guarda dei manifesti di località turistiche, 7 giugno 1949. Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo Due donne consultano una bacheca con annunci e manifesti presso una sede dell’Unione Donne Italiane, 15 settembre 1945. Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo Un gruppo di reduci dalla prigionia in Russia si affaccia al finestrino del treno della Pontificia Commissione di Assistenza alla Stazione Centrale di Milano, 31 marzo 1946. Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo Pubblico alla partita di calcio tra attori della prosa e artisti del varietà all’Arena di Milano, 29 luglio 1945. Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo
Ada Masoero |  | Torino

Sette milioni di stampe, negativi su vetro e su pellicola, provini a contatto, diapositive a colori dai primi anni Trenta ai Novanta del secolo passato. È un autentico tesoro quello dell’Archivio Publifoto, prima agenzia privata italiana di fotografia destinata alla carta stampata, che racconta con ineguagliabile immediatezza la storia sociale, politica, civile e del costume del nostro Paese dal tempo del fascismo fino al passato prossimo.

Acquisito nel 2015 da Intesa Sanpaolo, l’archivio dell’agenzia fondata nel 1937 da Vincenzo Carrese (oggi Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo), costituisce una delle eccellenze dello sterminato archivio d’immagini del Gruppo bancario; un serbatoio cui già si è attinto per le mostre «Prima della Prima. Il rito dell’inaugurazione della Scala nell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo», curata da Aldo Grasso, aperta fino al 14 febbraio nelle Gallerie d’Italia-Piazza Scala a Milano, e «Come saremo. L’Italia che ricostruisce», a cura di Arianna Rinaldo con Barbara Costa (responsabile Archivio Storico di Intesa Sanpaolo), in corso fino al 18 aprile alle Gallerie d’Italia di Vicenza: i primi passi del percorso di valorizzazione di questo patrimonio, programmato da Intesa Sanpaolo.

Ne parliamo con Aldo Grasso, famoso critico televisivo ed editorialista del «Corriere della Sera», ordinario di Storia della televisione presso l’Università Cattolica di Milano e profondo conoscitore di questo materiale, avendone anche curato la prima vera ricognizione sistematica già nel 2019, con Walter Guadagnini, nella mostra di Camera «Nel mirino. L’Italia e il mondo nell’Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo 1939-81». E ora in procinto di curare altre iniziative.

Professor Grasso, che cosa ha rappresentato l’Archivio Publifoto nella storia del giornalismo, non solo italiano?
È stato fondamentale: dagli anni ’30 ai ’60 è stato l’unico mezzo per illustrare quotidiani, rotocalchi, libri. Dalla cronaca nera alla politica, dalla società (pensiamo alle immagini degli immigrati che dal Sud arrivano alla stazione di Milano e si passano le valigie dai finestrini del treno) allo sport, fino alle tragedie che hanno segnato quegli anni, come lo schianto dell’aereo del Grande Torino a Superga, nel 1949, l’alluvione del Polesine nel 1951 o il crollo della diga del Vajont nel 1963, tutto ciò è documentato solo da quelle immagini. I giornali, in quei decenni, hanno testimoniato la nostra storia, anche perché se oggi per la carta stampata si cercano solo fotografie dal valore simbolico, quelle erano, invece, foto che «parlavano»: erano «racconti» di grande forza. La fotografia inizierà a entrare in crisi solo con lo sviluppo della televisione, in una sorta di passaggio del testimone cui ora si assiste con l’online.

Come intendete valorizzare questo imponente giacimento?
Un patrimonio come quello di Vincenzo Carrese (che è conservato, per di più, nei meravigliosi scaffali originali Olivetti) vive solo nel momento in cui trova una vita seconda ed esce dal buio di quegli scaffali. Per fortuna da qualche tempo gli storici iniziano a prendere in considerazione anche l’apparato iconografico, avendo preso coscienza che, oltre alle fonti scritte, esistono la fotografia, il cinema, la televisione. Tutte queste immagini sono portatrici di un alto valore antropologico, com’è evidente per esempio nelle fotografie della Prima della Scala; perché nei decenni tutto è cambiato, perfino le facce: dalle foto si possono capire molte cose che la pagina scritta non è in grado di comunicare. Dunque, uno dei compiti che il Progetto Cultura di Intesa Sanpaolo si pone per quest’Archivio è di organizzare mostre perché queste immagini, sinora nascoste, ritrovino la luce. Mi piace chiamarli «risvegli».

Queste immagini saranno esposte solo in mostre temporanee oppure, nelle Gallerie d’Italia di Torino, ci sarà anche un’area destinata all’esposizione permanente? L’intero Archivio Publifoto Intesa Sanpaolo, scaffali storici compresi, sarà ospitato lì?
Sì, da Milano, dov’è ora, l’Archivio Publifoto arriverà a Torino e, una volta che sarà sistemato nell’area che gli è stata destinata, è probabile che alcuni di questi materiali siano esposti, se non in permanenza, almeno per lungo tempo. L’Archivio, del resto, non è fatto di sole stampe, ma anche d’innumerevoli negativi: molte fotografie possono essere ristampate, anche modificandone i formati e traendone per esempio delle gigantografie, che trasformano radicalmente la fruizione dell’immagine. Così è accaduto nella mostra del 2019 da Camera, dove c’era un continuo gioco tra gigantografie e altri formati: un modo nuovo di esporre la fotografia perché riprenda vita sotto altre forme. Poi, ovviamente, con tutte le precauzioni del caso e in teche opportune, possono essere esposti anche gli originali. E non va dimenticato che l’Archivio Storico Intesa Sanpaolo, dove lavorano bravissimi archivisti, si avvale anche di eccellenti restauratori, capaci di ripristinare al meglio le fotografie.

Quali sono le linee guida per le mostre future?
Le mostre saranno tematiche. Il lavoro del curatore è scegliere di volta in volta temi diversi. Come la Milano delle Prime alla Scala, appunto, o l’Italia della ricostruzione o, ancora, il lavoro nelle fabbriche e nelle campagne, ma anche argomenti più lievi, ma significativi dal punto di vista della storia del costume, come il Festival di Sanremo. Scelto il tema, l’archivista ci procura tutte le immagini che lo concernono, fra le quali si va in cerca di una linea espressiva che sappia esaltare il tema prescelto. Non parlo solo di un criterio estetico, ma di saper scegliere quelle foto che sappiano dare sostanza al tema scelto. Che poi può diramarsi in più direzioni: poniamo che si espongano fotografie di una fabbrica di lavatrici. Dal punto di vista fotografico questo soggetto potrà non dire molto ma, dietro, c’è la scoperta di una società che passa dal lavare i panni a mano al lavarli a macchina: di conseguenza, si apre il tema del tempo libero e del suo uso, ma anche della motorizzazione e così via. Spunti di riflessione che scaturiscono all’interno di ciascun argomento, ampliandolo e arricchendolo.

Ci saranno scambi con realtà analoghe?
Penso di sì. L’Archivio Publifoto per ora è conosciuto quasi esclusivamente in Italia, ma è un patrimonio che deve uscire dai nostri confini. Credo che lo scambio di archivi sia una delle iniziative più utili per fare circolare la conoscenza.

GALLERIE D’ITALIA - TORINO
I contributi speciali pubblicati nei mesi scorsi per approfondire alcune questioni cruciali del dibattito contemporaneo sulla fotografia in vista dell’apertura della nuova sede di Gallerie d’Italia

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