Dominique White tra Stato e Blackness

Alla galleria Veda di Firenze l’artista inglese reinterpreta il mito dell’Idra di Lerna, identificando il mare come originaria zona di conflitto tra emancipazione e repressione.

«The Hunted, the Betrayed, the Traded» (2021) di Dominique White. Courtesy the artist and VEDA. Foto Flavio Pescatori Una veduta della mostra «Hydra Decapita», di Dominique White, VEDA, Florence, 2021. Courtesy the artist and VEDA. Foto Flavio Pescatori «The Hunted, the Betrayed, the Traded» (2021) di Dominique White. Courtesy the artist and VEDA. Foto Flavio Pescatori Una veduta della mostra «Hydra Decapita», di Dominique White, VEDA, Florence, 2021. Courtesy the artist and VEDA. Foto Flavio Pescatori «May you break free and outlive your enemy» (2021) di Dominique White. Courtesy the artist and VEDA. Foto Flavio Pescatori Una veduta della mostra «Hydra Decapita», di Dominique White, VEDA, Florence, 2021. Courtesy the artist and VEDA. Foto Flavio Pescatori Una veduta della mostra «Hydra Decapita», di Dominique White, VEDA, Florence, 2021. Courtesy the artist and VEDA. Foto Flavio Pescatori «May you break free and outlive your enemy» (2021) di Dominique White. Courtesy the artist and VEDA. Foto Flavio Pescatori
Matteo Mottin |  | Firenze

Nonostante il 71% del pianeta sia coperto d’acqua, vivendo per la maggior parte del nostro tempo sulla terraferma, tendiamo a figurarci le sue vaste distese come monotone, irreali, astratte e prive di punti di riferimento storici. In realtà il mare è stato ed è una zona di conflitto, accumulazione e creazione di storia, nonché luogo di nascita e sviluppo del sistema capitalistico globale.

Sono queste le tesi sviluppate dagli storici Peter Linebaugh e Marcus Rediker in I ribelli dell’Atlantico. La storia perduta di un’utopia libertaria, testo in cui introducono il concetto di idrarchia, il governo sull’acqua. Secondo Linebaugh e Rediker, per essere compresa l’idrarchia va osservata da due prospettive: l’idrarchia «dall’alto» fa riferimento a organizzazione, sorveglianza e controllo dello spazio marittimo per l’accumulo di capitale attraverso un potere navale comandato da un potere a terra. In contrapposizione, l’idrarchia «dal basso» fa riferimento all’auto-organizzazione democratica, egualitaria e inclusiva della gente che vive e lavora in mare, al modo in cui questa coopera in maniera solidale per la comune sopravvivenza. Se sulla terraferma la società si è da sempre organizzata intorno alla trasmissione di proprietà, la vita in mare aperto si fonda su logiche orizzontali e sull’uguaglianza della condizione.

Questi concetti sono alla base di «Hydra Decapita», la seconda personale di Dominique White in corso fino al 15 gennaio presso la galleria Veda di Firenze. In mostra troviamo una serie di nuovi gruppi scultorei composti con un vocabolario di materiali tipici della ricerca di White, tra cui la rafia, il caolino, il mogano e il ferro non trattato. Nella visione dell’artista, le sculture si presentano come manifestazioni di uno scontro tra Stato e Blackness attraverso un’analogia con l’Idra di Lerna, l’animale marino mitologico dalle molteplici teste che ha la capacità di rigenerarle una volta recise.

Se nel loro libro Linebaugh e Rediker identificavano la figura dell’Idra con quelle dei pirati e degli schiavi in fuga che nel XVII secolo combatterono la formazione del nascente capitalismo, in «Hydra Decapita» White si figura l’opposto, immaginando l’Idra come Stato, animale apparentemente immortale le cui molteplici teste rappresentano le sfaccettature del capitalismo, del colonialismo e dei movimenti anti-Blackness.

Le opere di White, nella loro vulnerabilità e instabilità incarnano le violenze e le oppressioni subite dalla Blackness, mentre nella loro fragile caducità rappresentano il rifiuto di un futuro che vede il perpetuarsi di quelle stesse condizioni. Sono corpi naufraghi di un’idrarchia dal basso che si scontrano sulle coste di una struttura di potere imposto dall’alto, sparsi resti della collisione tra utopia e realtà.

Se è possibile studiare che cosa sia successo sulla tratta atlantica degli schiavi africani, non è altrettanto possibile immaginare che cosa abbiano provato dodici milioni e mezzo di africani ridotti in schiavitù nel Middle Passage tra Europa, Africa e America. C’è una violenza insita nell’astrazione dei dati statistici tramite cui viene studiato il commercio degli schiavi. Sono dati importanti ma tendono a sterilizzare e nascondere le sofferenze subite da esseri umani reali, che hanno sofferto e sono morti sulle navi negriere. I numeri nascondono la disumanizzazione e le conseguenze morali.

Le trame smembrate, le superfici non uniformi e sgretolate, i legni bruciati e incurvati ci restituiscono l’immagine di una condizione lontana dalla quiete. Il ferro non trattato, quindi destinato ad arrugginirsi e mutare nel tempo, suggerisce una situazione non fissa nel presente o ascrivibile a un momento specifico della Storia, ma drammaticamente in divenire.

Le opere di Dominique White sono un verbo. Sia perché nascono dalla parola, dalla scrittura e da approfonditi studi sul pensiero Black, sia perché agiscono sull’osservatore suggerendo un’azione e inducendo una reazione. I gruppi scultorei sono volutamente fragili, e questo lascia intuire che per essere conservate e tramandate necessitano di volontà, cure e attenzioni. Proprio come un testo, non sono adatte a una fruizione passiva e la loro forza va ricercata non nella loro forma, ma nel coinvolgimento che riescono a innescare.

© Riproduzione riservata «May you break free and outlive your enemy» (2021) di Dominique White. Courtesy the artist and VEDA. Foto Flavio Pescatori «May you break free and outlive your enemy» (2021) di Dominique White. Courtesy the artist and VEDA. Foto Flavio Pescatori «A fugitive you cannot find a record for is the most successful fugitive of all» (2021) di Dominique White. Courtesy the artist and VEDA. Foto Flavio Pescatori
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