Niente di più libero della scultura

Per David Bestué, curatore di una mostra alla Fundació Miró, questo campo dell’arte aspira «a fare un esercizio di resistenza davanti a una realtà avversa»

«Julie, Head, Upside Down, Tongue to Tongue» (1990) di Bruce Nauman. © Colección Bergé, Madrid. Vegap, 2021
Roberta Bosco |  | Barcellona

«Il senso della scultura» (fino al 6 marzo), la mostra più importante della stagione della Fundació Miró, propone un nuovo approccio alla storia della scultura e alla sua evoluzione nel XXI secolo, attraverso un centinaio di opere di 65 artisti da Antoni Gaudí allo stesso Miró, passando per Richard Serra, Bruce Nauman, Susana Solano, Sarah Lucas, Joseph Beuys, Lygia Clark e molti altri.

«Gli scultori sono sempre più liberi per quanto riguarda l’uso di tecniche, forme e materiali, non aspirano più a produrre opere con grandi budget, ma a fare un esercizio di resistenza davanti a una realtà avversa», afferma il curatore David Bestué (Barcellona, 1980), noto per lavori concettuali tra scultura e performance, che ha concepito la mostra come una grande opera corale.

«L’arte corre il rischio di ridursi a una fotografia di Instagram. La scultura offre una visione della realtà che sfugge alle nuove tecnologie», assicura, citando la fotoscultura, un sistema brevettato nel 1860, che si può considerare precursore delle stampe 3D. Della copia perfetta oggi si occupa la tecnologia come dimostrano i piccoli personaggi di Karin Sander, realizzati a partire da corpi reali scannerizzati.

Il percorso cronologico-tematico, disegnato dal Bestué, dimostra che ogni generazione cerca di ampliare i limiti dell’idea di riproduzione. Le nuove pratiche aumentano la capacità di movimento della scultura e la stessa leggerezza dei «mobile» di Calder si ritrova nella fontana di schiuma di David Medalla, che muta al più lieve soffio d’aria.

Joan Miró trasforma l’osso di un animale nel corpo di una donna e Leandre Cristòfol crea costellazioni aeree con le conchiglie e i detriti del campo di concentramento dove fu inviato dopo la Guerra Civile. Di Joan Brossa è esposto un libro imbevuto di pioggia che dialoga con i volumi trasformati in papier-mâché nei salami di Dieter Roth, in un gioco continuo di riferimenti tra la scultura attuale e le origini della disciplina, che crea una genealogia arricchita da nuove e a volte insospettate relazioni formali e concettuali.

La dimensione emozionale della scultura chiude la rassegna con opere che plasmano l’intangibile, i sentimenti o il desiderio, come il bronzo del 1932 di Julio González che crea uno spazio buio e impenetrabile all’interno di due bocche unite in un bacio.

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