Mai Ronda notturna fu tanto controllata

Il più vasto progetto di ricerca mai dedicato al capolavoro di Rembrandt ha portato al ritrovamento dello schizzo originale e alla replica dell’impasto. Ora inizia la fase di restauro

La «Ronda di notte» con le riproduzioni delle parti mancanti La sala di vetro con la «Ronda» all’interno della Galleria d’Onore del Rijksmuseum di Amsterdam Alcuni visitatori di fronte alla sala di vetro con la «Ronda» all’interno della Galleria d’Onore del Rijksmuseum di Amsterdam
Elena Franzoia |  | Amsterdam

È terminata l’ambiziosa Operazione Ronda di Notte, con cui dall’8 luglio 2019 il Rijksmuseum ha realizzato il più vasto progetto di ricerca mai dedicato al capolavoro di Rembrandt. I processi operativi preliminari al restauro, avviato a metà gennaio, si sono svolti in una speciale stanza di vetro allestita dall’architetto francese Jean-Michel Wilmotte all’interno della Galleria d’Onore, in modo da essere costantemente visibili dai visitatori.

Speciali piattaforme elevatrici hanno consentito ai ricercatori di analizzare l’opera (che misura attualmente circa 4 metri di altezza per oltre 4,50 di larghezza) grazie a tecnologie d’avanguardia come le scansioni macro a fluorescenza a raggi X (macro-XRF) e l’imaging iperspettrale. Il team del Rijksmuseum, composto da oltre 20 ricercatori, è stato coadiuvato da collaboratori provenienti da musei e università locali e internazionali.

Le analisi diagnostiche hanno fornito l’occasione per importanti iniziative. Per la prima volta negli ultimi 300 anni, ad esempio, dallo scorso giugno la celebre «Ronda» (terminata nel 1642) è stata restituita alla fruizione originale grazie alla ricostruzione delle parti mancanti, amputate nel 1715 a causa del suo spostamento nel Municipio di Amsterdam, ma documentate da una copia seicentesca attribuita a Gerrit Lundens. L’intelligenza artificiale ha consentito di stampare su pannelli integrativi le fasce perimetrali con i numerosi dettagli mancanti, che non saranno ovviamente incorporate nel restauro finale.

In novembre le fasi di ricerca si sono concluse con lo studio del retro del dipinto e degli strati più profondi della pellicola pittorica, fino all’imprimitura realizzata in gesso di colore neutro e al sensazionale ritrovamento dello schizzo originale, che apre nuove prospettive alla comprensione del modo di lavorare di Rembrandt. Grazie alla collaborazione con AkzoNobel, partner principale del progetto, è stato infatti possibile scoprire e replicare la celebre tecnica di impasto utilizzata dall’artista per ottenere un effetto della pennellata denso e tridimensionale mescolando biacca, olio di lino, albume e perfino arsenico.

La mappatura digitale ha confermato non solo dozzine di pentimenti, ma anche le discontinue condizioni di conservazione dell’opera, ottimale in alcune parti ma in altre compromessa dai numerosi trattamenti, finalizzati soprattutto alla rimozione delle vernici, cui l’opera è stata sottoposta fin dal Seicento. Oltre a forme fisiologiche di degrado (come il virare dello smaltino dal blu al grigio e la formazione delle tipiche macchie bianche dovute alla saponificazione del colore a olio), la grande tela appare infatti visibilmente increspata sull’angolo superiore sinistro, probabilmente a causa delle fluttuazioni climatiche in occasione del suo spostamento durante i lavori di restauro del museo.

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