Rogers, il maestro che credeva in una società giusta

Scomparso a Londra l'architetto nato a Firenze nel 1933, Pritzker Prize nel 2007: dal Beaubourg con Renzo Piano ai grandi progetti nel mondo

Renzo Piano e Richard Rogers © Archives Centre Pompidou
Alessandro Martini |

È stato uno dei grandi architetti del secondo Novecento, tra i protagonisti di una stagione di progetti grandiosi (e spesso di vasta notorietà presso il grande pubblico) per i quali si è coniato l'appellattivo di «archistar».

Richard Rogers, maestro dell’architettura high-tech britannica e attivo nel mondo, Pritzker Prize nel 2007, è scomparso il 18 dicembre a 88 anni a Londra. Sua città d'elezione, ma non natale: era infatti nato a Firenze il 23 luglio 1933. E in Italia aveva inziato a lavorare presso lo studio Bbpr (con Lodovico Barbiano di Belgiojoso, Enrico Peressutti, Gian Luigi Banfi e lo zio Ernesto Nathan Rogers).

Grande è stata l’eco della sua scomparsa, anche su una stampa italiana di norma assai poco attenta ai temi dell'architettura. Che infatti si è concentrata sopratutto su uno dei suoi progetti più noti, seppur realizzato in una fase iniziale della carriera: il Centre Pompidou di Parigi (1971-77), firmato insieme all’amico e collega di studi e sperimentazioni, Renzo Piano (ma con il contributo fondamentale di Peter Rice, dello studio di ingegneria Ove Arup, e a quello di Gianfranco Franchini).

Allora la giovane coppia (a cui si deve, in Italia, la sede di B&B, a Como, nel 1972-73) era risultata vincitrice di un grande concorso internazionale, bandito dallo Stato francese e fortemente sostenuto dal presidente Georges Pompidou, che aveva visto la partecipazione di quasi 700 progetti a firma, tra gli altri, di Oscar Niemeyer, Jean Prouvé e Philip Johnson. Il progetto di Rogers e Piano, negli anni salutato da un vastissimo successo da parte del pubblico e della critica, fu però accompagnato da critiche accesissime, almeno in una fase iniziale: d’altra parte quanti altri soggetti pubblici, in Italia soprattutto, avrebbero avuto, allora come oggi, la forza e il coraggio che ebbe lo Stato francese nel promuovere un intervento tanto dirompente nel cuore monumentale di Parigi?

Proprio da quel successo avrebbe preso il via una carriera di grandi riconoscimenti internazionali. Insieme all’amico e sodale Norman Foster (conosciuto nel corso di un master a Yale nel 1962) aveva fondato lo studio Team 4 (1963-67), di cui erano parte anche le rispettive mogli, Su Brumwell e Wendy Cheesman. Insieme ad altri architetti britannici oggi di fama (da Nicholas Grimshow a Michael Hopkins) dagli anni Ottanta sarebbero stati protagonisti di una stagione di enormi trasformazioni urbanistiche in Gran Bretagna: erano gli anni di Margaret Thatcher primo ministro, di una nuova crescita economica, dei colossali interventi nei Docklands londinesi.

Proprio qui Rogers avrebbe realizzato, a chiusura di un lungo e discontinuo processo, l’enorme arena del Millennium Dome (1996-99), inaugurata con i festeggiamenti del capodanno del 2000. Ma ben prima il suo nome si era legato a uno dei capolavori della nuova architettura nella City londinese, quella sede della Lloyd's Bank (1978-84) che sarebbe assurto a manifesto dell’architettura high-tech, segnata da un’indiscussa fiducia nel progresso e nelle tecnologie (con tanto di esibizione degli impianti, scale e ascensori in facciata, segni identitari e addirittura decorativi).

I suoi progetti successivi hanno attraversato la più varie tipologie e i più diversi Paesi, soddisfacendo committenze pubbliche e private grazie a un linguaggio riconoscibile, versatile e colto. Si ricordano, tra gli altri, la Corte europea dei Diritti dell’uomo a Strasburgo (1995), i terminal 4 e 4S dell’aeoroporto di Madrid Barajas (2004) e il terminal 5 dell’aeroporto di Heathrow a Londra (1989-2008), il 3 World Trade Center a New York (2008-18), il complesso urbanistico con il nuovo Centro civico di Scandicci (Fi, 2013), il complesso delle International Towers a Sydney (2010-16).

Fino al settembre 2020 è stato senior partner dello studio Rogers Stirk Harbour + Partners (fondato nel 1977 come Richard Rogers Partnership, appellativo mantenuto fino al 2007), con uffici a Londra, Shangai e Sydney. «Rogers» sarà cancellato dal nome dello studio entro quest’anno, come stabilito dall’atto costituitivo. Nel 2018 il l’autobiografia Un posto per tutti. Vita, architettura e società giusta (372 pp., ill col. e b/n, Johan & Levi, € 36) ha restituito, grazie anche a un linguaggio diretto e appassionato, una figura da sempre attenta alla funzione sociale dell’architettura, alla vita nelle città, al ruolo degli spazi pubblici e ai temi (oggi di gran voga) dell’ecocompatibilità e della cittadinanza attiva.

Impegnato con la sinistra dei Labour alla House of Lords, consulente per l’architettura (2001-08) del sindaco di Londra Ken Livingstone (Ken «il rosso»), Richard Rogers è stato insignito delle onoreficenze di «Knight Bachelor» nel 1991 e di «Companion of Honour» nel 2008. Nel 2015 figurava tra gli uomini più eleganti di Gran Bretagna, secondo la rivista «Gq». Del 2021 è una delle ultime opere realizzate, il nuovo padiglione espositivo dell’azienda vinicola Chateau La Coste di Aix-en-Provence: un’architettura di metallo e vetro che si protende drammaticamente sul paesaggio circostante.

Insieme strardinario gesto strutturale e omaggio al maestro Frank Lloyd Wright e alla sua «Fallingwater» (la casa sulla cascata realizzata nel 1939 in Pennsylvania), resta il simbolo della capacità di sfida costantemente portata da Richard Rogers attraverso i linguaggi innovativi e visionari del progetto. Mai disgiunti, però, da temi come «politica, istanze sociali, differenze economiche e razza». Perché, scriveva Rogers in Un posto per tutti, «solo così si può parlare di democrazia» e perché «non si può pensare a un’architettura senza pensare alla gente».

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