Alla Gam dal 1990 soprattutto grandi nomi internazionali

Il direttore Riccardo Passoni presenta la collezione di arte non italiana acquisita grazie alla Fondazione Crt per l’Arte moderna e contemporanea: da Baselitz a Kiefer, da Kentridge a Chen Zhen, fino a Boltanski

Una veduta della mostra «Una collezione senza confini. Arte internazionale dal 1990», Gam, Torino. Foto Perottino «La Fontaine» (2007) di Mark Dion «I Sleep in the Orchard» (1991) di Ilya and Emilia Kabakov. Foto Studio Gonella Una veduta della mostra «Una collezione senza confini. Arte internazionale dal 1990», Gam, Torino. Foto Perottino «Containers» (2010) di Christian Boltanski «La Jungla» (2001) di KCHO. Foto Gonella
Alessandro Martini |  | Torino

«Era il 1948 quando la Gam, nel pieno del caos seguito alla seconda guerra mondiale e con la sua sede distrutta dalle bombe, acquistava l’opera di Marc Chagall “Dans mon pays”, esposta alla Biennale di Venezia. Il tutto grazie al suo direttore di allora Vittorio Viale». Riccardo Passoni, attuale direttore della Galleria Civica d’Arte moderna e contemporanea, ricorda che il suo museo è da sempre impegnato in un «percorso di internazionalizzazione».

E proprio all’arte internazionale, in particolare alle recenti acquisizioni mai o pochissimo esposte, è dedicata la mostra «di lunga durata» «Una collezione senza confini. Arte internazionale dal 1990», curata dallo stesso Passoni nel livello inferiore del museo. Introdotto dalle 11 torri in legno di marabù e jucaro («La jungla»), realizzate da Kcho nel 2001, e dalla grande tela di Anselm Kiefer «Humbaba» (2009), il percorso di 56 opere realizzate da 33 diversi artisti prende il via con una successione di grandi nomi e di opere varie nelle tecniche e tutte di altissima qualità.

Dopo Jessica Stockholder («Ground Cover Season Indoors», 2002), Laurent Grasso («1610», 2011) e Tony Cragg («Bromide Figures», 1992), con cui la mostra si apre, si prosegue con la complessa e articolata installazione di Chen Zhen «Diagnostic Room» (2000) e, immediatamente di fronte, con il coloratissimo «Catalogue #2» (2000) di Pedro Cabrita Reis. Accanto, «The Communicator» (2012) di Marina Abramovic, una preziosa testa di cera e «pietre meditative» come lapislazzuli, malachite, aragonite, cristalli di quarzo e ossidiana...

Una grande parete grigia, in un allestimento altrimenti bianco, accoglie opere variamente declinate nel senso dell’Espressionismo recente di area tedesca e austriaca, che guarda alla natura e al mondo «sofferente» con un’impressionante infilata di grandi tele di Georg Baselitz («Gut Grau», 2009), di nuovo Kiefer («Einschüsse [Wundtau regnet]», 2010) e Hermann Nitsch («Schüttbild», 1994), affiancate da Cecily Brown («The River Tent is Broken» del 2014, donato dall’artista britannica) e Albert Oehlen («Klebegatt», 2002).

Seguono (impossibile citarli tutti) protagonisti impegnati nella pittura, nell’installazione, nella scultura. Il grande arazzo «City of Moscow» (2009) di William Kentridge si confronta con la serie «Scarred for Life» (1994) di Tracey Moffatt: entrambi impegnati nella «rilettura sottile dei traumi di chi ha subito la dominazione coloniale britannica», spiega Passoni. C’è anche «un angolo architettonico», suggerisce, in cui le opere di Mona Marzouk dialogano con l’installazione «Kotatsu» (2001) di Tobias Rehberger.

Con «Wall of Light White Tundra» (2009) Sean Scully propone la riflessione sulla tradizione storica (suggerendo addirittura Giorgio Morandi), Liam Gillick e Jim Lambie portano le loro geometrie multicolori e Kiki Smith i suoi tratti delicati con il disegno «Seated Girl with Fawns in Arms» (2004) e la scultura «Woman and Sheep» (2005). Antony Gormley si impone al centro del percorso con il bronzo «Here and There» (2002) mentre due interi ambienti sono riservati alle installazioni «I Sleep in the Orchard» (1991) di Ilya e Emilia Kabakov e «Containers» (2010) di Christian Boltanski.

Su mille metri quadrati, la Gam mostra orgogliosamente una raccolta sconosciuta ai più, vista in rare occasioni espositive fuori e dentro le sue sale, per lo più approntata grazie all’ormai consolidato (e quindi ancor più meritorio) progetto della Fondazione Crt per l’Arte moderna e contemporanea a sostegno delle collezioni dei musei torinesi, Gam e Castello di Rivoli.

Ciò che emerge è non soltanto un’attenzione all’arte internazionale che è connaturata alla storia della galleria torinese (già nell’Ottocento il primo museo civico votato all’arte contemporanea), ma la sua continua crescita, anche in anni difficili e grazie a una virtuosa collaborazione con i privati. Ma è altrettanto evidente che questa ricchezza e questa storia non possono più rimanere nascosti, oggetto di iniziative eccezionali ed estemporanee.

La nuova amministrazione comunale dovrà dare risposte alla necessità di nuovi spazi per la Gam, dopo i tentativi (infruttuosi) di anni recenti negli spazi ora delle Ogr-Officine grandi riparazioni e sotto le volte di Torino Esposizioni. Sono molte le opere invisibili, spesso di grandi dimensioni e forzatamanete nei depositi. «In futuro dovremo mostrare anche gli artisti italiani recenti, a cui la Gam è ugualmente attenta», chiosa Passoni.

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