I progetti della Commissione Cultura al Senato

Il senatore Riccardo Nencini racconta i «cammini» (41 per ora), il «Progetto dei Borghi», il turismo lento, il 2% e 4% delle opere pubbliche, i 143mila operatori non riconosciuti, i teatri non a norma

Riccardo Nencini
Edek Osser |

Il senatore toscano Riccardo Nencini, 62 anni, è considerato un politico anomalo, un intellettuale. È scrittore di saggi e romanzi storici, legato da una lunga, profonda amicizia a Oriana Fallaci alla quale ha dedicato tre libri. Il lavoro politico è a Roma ma il vero legame resta con la terra delle sue radici, il Mugello, alla cui bellezza ha intitolato un altro libro. In lui è forte anche la passione per lo sport, con uno zio ciclista famoso, Gastone Nencini, vincitore di Giro e Tour.

Socialista da sempre, da molti anni è tra i protagonisti della vita politica. Eletto segretario del Psi nel 2008, dal 2019 ne è presidente. L’ultimo suo libro, Solo (Mondadori, 2021), racconta proprio la storia di un grande socialista, Giacomo Matteotti. Eletto alla Camera nel 1992, Nencini è stato il primo deputato a rinunciare al doppio stipendio.

Nel 1994 entra come deputato al Parlamento europeo. Dal 2000 al 2010 presiede il Consiglio Regionale della Toscana e nel 2013 viene eletto senatore, riconfermato nel 2018. Oggi presiede la Commissione Beni culturali, Istruzione e Sport del Senato, importante per le decisioni che il Governo sta assumendo sulla gestione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr).

Senatore Nencini, il cambiamento climatico minaccia anche il nostro patrimonio. Grazie ai fondi del Pnrr potremo intervenire per difenderlo. Che cosa sta facendo la Commissione che presiede?
Siamo alla fine di una serie di audizioni che si concluderà con una risoluzione impegnativa per il Governo. La questione è questa: oltre al problema dell’impatto climatico sui nostri beni culturali ne abbiamo un altro, anche questo assegnato alla nostra Commissione, che riguarda gli allestimenti museali. Non si tratta solo di stabilire quali siano gli accorgimenti più sicuri per esporre le opere più fragili e preziose: il vero punto dolente riguarda il 90% delle nostre opere d’arte che è nei magazzini ma non ne sappiamo nulla. Ignoriamo, per esempio, quali hanno bisogno di una manutenzione ordinaria.

La Commissione Europea ha di recente raccomandato agli Stati membri la creazione di uno «spazio europeo dei dati»: chiede un censimento di tutti monumenti, i siti, le opere a rischio. Dovremmo digitalizzare questo elenco entro il 2030. Questo vale anche per le opere nei depositi e si riflette quindi sul lavoro della vostra Commissione e del Ministero della Cultura.
È così, non c’è dubbio. E infatti abbiamo un rapporto stretto con il MiC. Il tentativo è di usare al meglio e prima possibile i fondi del Pnrr, che devono andare non soltanto alla digitalizzazione, ma al recupero delle opere. Occorre utilizzare quella quantità di fondi, che non è esagerata: saranno 30 miliardi ma distribuiti tra molti diversi campi d’impiego. Se non li utilizziamo presto, con la prossima legge di bilancio, qualche rischio il nostro patrimonio culturale lo corre.

Anche perché il cambiamento climatico è in corso da tempo e sembra sempre più rapido.
Il nostro progetto ha due colonne portanti: quella principale è la valorizzazione e la protezione dell’ecosistema, ma dobbiamo avere anche la digitalizzazione perché non sappiamo quello che abbiamo e siamo già in ritardo.

Il MiC ha creato la Digital Library, un nuovo istituto con speciale autonomia proprio per la digitalizzazione del patrimonio culturale. Servono i soldi ma anche la cosiddetta «volontà politica» per marciare alla velocità necessaria.
Sono d’accordo e metterei le due cose allo stesso livello. Se pensi che una certa azione non sia prioritaria, i soldi li spendi altrove o con maggiore lentezza perché hai altri buchi da tappare. Su questo la Commissione ha preso una posizione netta.

Da tempo la sua Commissione si sta occupando di uno dei temi che sta più a cuore anche al MiC: quello della creazione dei cosiddetti Cammini, itinerari tra cultura e natura dedicati al «turismo lento». La Commissione ha approvato all’unanimità, lo scorso giugno, una risoluzione che invita il Governo ad approvare una legge per promuoverli.
L’interesse per i Cammini è legato a diverse buone ragioni. Nel secondo dopoguerra, quella che i nostri padri e nonni hanno costruito era un’Italia cattolica legata alla terra. Accanto allo sviluppo industriale c’era uno straordinario rispetto del territorio, oggi dimenticato. La legge sui Cammini dovrebbe servire anche a riconquistare quel rispetto. Cito il caso della «Via di Francesco» che parte da Firenze e attraverso la Verna arriva ad Assisi. La via esiste già, percorsa da secoli, ma fra le norme stabilite dalla Legge sui Cammini che, penso, sarà approvata nella prossima primavera, c’è quella che ogni Cammino deve avere determinate caratteristiche. Contiamo sui volontari ma si dovrà creare l’organizzazione per mantenerli e dare loro stabilità. I Cammini raramente attraversano le città: seguono percorsi tra monti e boschi, passano dai borghi e la nuova legge prevede proprio l’obbligo di controllare e difendere il territorio, quindi il paesaggio e l’ambiente.

Serviranno adeguati finanziamenti e una particolare attenzione alla natura.
Sono tre i fattori attorno ai quali si è sviluppata l’ida di valorizzare i Cammini: il primo è appunto la tutela del territorio. Il percorso deve essere ben mantenuto e non si possono certo incontrare discariche e rifiuti. Secondo: vogliamo valorizzare il turismo lento anche per alleggerire la pressione esagerata sulle città d’arte. Terzo fattore: l’identità. Perché con la globalizzazione è sempre più necessario mantenere forti legami con il territorio e per questo ci sono i sindaci, che sono rimasti ormai tra i pochissimi riferimenti politico istituzionali con i cittadini. L’identità della quale parlo non devo tradurla in chiusura xenofoba ma tutelarla come valorizzazione identitaria. È il culto delle proprie radici collegato alla complessità.

I Cammini accettati e ufficialmente approvati dal Ministero sono per ora 41, già censiti dal Consiglio d’Europa, ma ci sono richieste per il riconoscimento di altri 80, molti senza basi valide. Entrare nella lista del Ministero significa ottenere finanziamenti, anche quelli del Pnrr. Si tratta di scegliere con attenzione per non disperdere i fondi disponibili.
Nella legge ci sarà una «cabina di regia» che realizzerà un piano strategico e stabilirà le caratteristiche, il canone che ogni cammino deve rispettare: un valido livello storico o religioso, una lunghezza che abbia almeno dimensione provinciale. Oggi il «turismo lento» è in crescita e si deve evitare che qualcuno possa mettere un cartello e inventarsi un Cammino...

La valorizzazione dei cammini è legata a quella dei «borghi»?
Nel settembre del 2020 ero da poco presidente della Commissione Cultura, ho subito proposto che un miliardo del Pnrr fosse destinato al «progetto dei borghi», un’iniziativa che il ministro Franceschini ha definito «perfetta». Quel miliardo andrà ripartito: il 40% alle Regioni, circa 500 milioni ciascuna, il resto ai Comuni. Ma proprio i piccoli borghi con 1, 2 o 3 milioni possono realizzare progetti importanti. Nella legge prevediamo anche una serie di misure che servano ad attirare gli imprenditori: c’è un credito d’imposta del 60% se il mantenimento del cammino è gestito da un’impresa. Fino ad oggi il 90% era affidato ai volontari. Ci saranno anche forme di decontribuzione per i datori di lavoro che mantengono la loro impresa nel Comune del Cammino. Abbiamo poi recuperato la legge 717 del 1949, raramente applicata e oggi dimenticata ma ancora in vigore: stabilisce che tra il 2 e il 4% dell’importo totale destinato alle opere pubbliche infrastrutturali venga utilizzato per opere di abbellimento. La nuova legge recupera quella del ’49 e la applica con le stesse percentuali ai Cammini, non soltanto per opere materiali ma anche, ad esempio, per spettacoli legati alla storia e al significato dei singoli Cammini o per mettere in campo giovani, pittori, scultori, attori ecc. e dare così linfa a un mondo che ha sofferto molto durante la pandemia.

Ha anche proposto una legge per il riconoscimento delle professioni artistiche. Ci sarà un albo professionale per gli artisti?
La legge nasce da una grave lacuna e prevede un «registro» per le varie professioni. A mettere in piedi uno spettacolo teatrale o un film servono 30 o 40 figure professionali diverse, dal falegname alla sarta, dall’attore al violinista ecc. In questo settore, nel quale l’Italia è ricca di talenti, lavorano circa 143mila persone: adesso, non hanno riconoscimento e quindi restano escluse anche dai «ristori» durante la pandemia. La legge prevede ammortizzatori sociali e una valorizzazione di quel mondo e si appoggia a un altro pezzo del Pnrr che prevede il recupero o il ripristino dei teatri italiani. Molti sono bellissimi ma davvero pochi sono a norma. Dunque registro e ammortizzatori sociali: è un disegno di legge. Sono stati già presentati gli emendamenti e cominceremo a discuterne molto presto.

Negli ultimi anni i suoi interessi di militante della politica si sono rivolti sempre più all’arte e alla cultura. Perché?
Lo devo anche a una tradizione di famiglia. Alla Biblioteca Nazionale di Firenze c’è in fondo bellissimo intitolato a Giovan Battista Nencini. È un mio antenato, grande collezionista che ha speso un capitale nell’acquisto di libri: circa 16mila pezzi tra prime edizioni, incunaboli e manoscritti. Dopo l’Unità d’Italia, quando Firenze diventa capitale, venne riunito il patrimonio delle varie biblioteche della città e ci si accorse che molte opere erano state prese in prestito dal cavalier Nencini, personaggio noto e rispettato, e mai restituite. A quel punto lui prese una decisione drastica: regalò alla biblioteca fiorentina tutta la sua collezione che oggi ne costituisce il fondo più importante. C’è poi mia nonna che lasciò a me i libri, suoi e del nonno. Adesso a casa ho 14mila volumi. Dunque è una tradizione che ho sempre coltivato, leggendo e studiando molto. Amo la ricerca storica. Nel tempo, con la crisi della politica che ben conosciamo, è cresciuta in me questa tendenza che è ormai una passione, un rifugio sentimentale e mentale.


Il Piano nazionale borghi del Mic presentato da franceschini
Contro lo svuotamento di una miriade di paesi storici nelle aree interne il Ministero della Cultura ha lanciato un Piano Nazionale Borghi da un miliardo, immaginando tanto mini campus universitari quanto residenze per anziani o malati (le Rsa) a dimensione di borgo. Il Piano è aperto a piccoli centri nelle aree interne che abbiano fino a un massimo di cinquemila abitanti o 300 unità immobiliari. Il ministro Dario Franceschini confida che, una volta attuato, il bando legato al Piano nazionale di ripresa e resilienza o Pnrr servirà anche ad «attrarre turismo in bellissimi luoghi minori quando torneranno i grandi numeri del turismo internazionale e a evitare l’overbooking nelle città d’arte». Ha presentato il piano su Zoom con il ministro l’ingegner Angelantonio Orlando, dirigente del MiC. Il principio fondante è: restituire vita a quei luoghi sfruttando le possibilità che può, o dovrebbe dare, la tecnologia.

Il MiC ha elaborato il progetto consultando le Regioni, l’Anci e associazioni locali e lo ha diviso in due parti. La «Linea A» prevede 420 milioni per progetti pilota in 21 borghi in via di spopolamento o già semi abbandonati. Li devono scegliere e candidare entro il 15 marzo 2022 le Regioni e le Province autonome: fanno 20 milioni a borgo. Una slide indica quale tipo di progetti possono candidarsi: «Scuole, accademie di belle arti e dei mestieri della cultura, alberghi diffusi, residenze d’artista, centri di ricerca e campus universitari, residenze sanitarie - assistenziali Rsa con programmi a matrice culturale, residenze per famiglie con lavoratori in smart working/nomadi digitali».

La «Linea B» comprende 580 milioni suddivisi in due filoni. Con avviso pubblico aperto ai Comuni, che scade il 15 marzo 2022, 380 milioni vanno ad almeno 229 progetti in centri storici destinando 1,65 milioni di euro a borgo. Qui sceglierà una commissione. Altri 200 milioni sono incentivi per micro, piccole e medie imprese già insediate o che intendono insediarsi in quei centri.

Del miliardo di euro il 40% va alle otto Regioni del Mezzogiorno, il resto al centro-nord. I progetti potranno essere firmati da più enti pubblici o dal pubblico con privati. Sono esclusi borghi di privati come i semplici restauri di beni culturali se non prevedono un uso sociale o culturale del bene: «La filosofia è creare attrattori, lavoro, se restauri un immobile e non ci fai niente dentro non attrai persone», puntualizza Franceschini. Nel complesso il MiC prevede circa 1.500 interventi su almeno 250 Comuni, conta di concludere l’intero processo entro il 2026 e pubblicherà l’avviso all’indirizzo. [Stefano Miliani]

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