Prigionieri in Bielorussia 39 operatori della cultura

Il dittatore Lukashenko mette a tacere i dissidenti con accuse pretestuose e lunghe pene detentive. Con il sostegno di Putin

L’artista, musicista e art director Maria Kolesnikova è stata condannata a 11 anni di carcere con l’accusa di estremismo e «cospirazione per impadronirsi del potere statale» © Ramil Nasibulin/Belta/Afp via Getty Images
Sophia Kishkovsky |  | Minsk

La repressione degli artisti in Bielorussia si è inasprita nel corso dell’estate e un numero crescente di addetti alla cultura sono stati condannati a lunghe pene detentive sulla base di accuse false, mentre il presidente Alexander Lukashenko continua la sua stretta sul dissenso.

Maria Kolesnikova, musicista e promotrice di arti contemporanee diventata attivista politica, è stata condannata a 11 anni di prigione con l’accusa di estremismo e «cospirazione per assumere il potere statale». In alcuni spezzoni di filmati del processo svoltosi a porte chiuse a Minsk, una sorridente Kolesnikova ballava, sbatteva a tempo le manette e teneva le mani unite a forma di cuore, un gesto che notoriamente anche il leader dell’opposizione russo Aleksei Navalny usa in tribunale.

«Andrà tutto bene», ha detto la Kolesnikova, 39 anni, direttrice artistica di OK16, un centro per le arti contemporanee che era stato aperto a Minsk dal gruppo bancario Belgazprombank. Anche Viktor Babariko, ex presidente della banca, noto per la sua collezione di opere di artisti come Marc Chagall e Chaïm Soutine, è stato arrestato con l’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro dopo aver promosso nel 2020 una campagna elettorale contro Lukashenko. Lo scorso luglio è stato condannato a quattordici anni di carcere.

Maria Kolesnikova, che prima dell’arresto di Babariko era stata la responsabile della campagna, ha diretto la sede del comitato elettorale d’opposizione di Svetlana Tikhanovskaya, la cui messa in discussione dei risultati delle elezioni aveva provocato, lo scorso agosto, proteste di massa contro Lukashenko. La Tikhanovskaya è stata costretta a lasciare la Bielorussia e a settembre le autorità hanno tentato di costringere all’esilio anche la Kolesnikova. L’artista ha però distrutto il proprio passaporto ed è tornata indietro, venendo arrestata. Sottoposta a processo, è stata e condannata insieme all’avvocato Maxim Znak, anch'egli membro del consiglio di coordinamento dell’opposizione.

Nel frattempo, in seguito a un’esposizione per la quale aveva dipinto un guerrigliero bielorusso antisovietico del dopoguerra con una mitragliatrice, l’artista Ales Pushkin è stato messo sotto processo con l'accusa di «azioni premeditate volte a riabilitare e giustificare il nazismo». A giugno il PEN Centre bielorusso ha comunicato che 39 su 526 persone riconosciute come prigionieri politici sono professionisti della cultura.

Nell’ultimo anno Bielorussia e Russia sono diventate sempre più repressive: in un progressivo avvicinamento tra i due Paesi, gli eventi dell’uno hanno rispecchiato e amplificato quanto accadeva nell’altro. In un incontro al Cremlino del 9 settembre, il presidente russo Vladimir Putin e Lukashenko hanno definito gli elementi per un’unione economica; l’obiettivo principale di Putin sembra essere quello di consolidare la propria sfera d’influenza ed evitare e impedire che la Bielorussia si rivolga all’Occidente (come ha fatto l’Ucraina), mentre le violazioni dei diritti umani da parte di Lukashenko hanno creato una sponda favorevole per l’alleanza.

Al centro della repressione degli artisti indipendenti in Russia c’è ora San Pietroburgo. Il 6 settembre, un tribunale cittadino ha condannato l’artista ventisettenne Ilya Pershin a tre anni in un campo di concentramento. È accusato di aver colpito un poliziotto antisommossa durante le proteste del 31 gennaio a sostegno del leader dell’opposizione Navalny, seguite dell’arresto al suo ritorno in Russia. Pershin, che respinge le accuse e ha tenuto un diario con disegni della propria esperienza in custodia cautelare nella prigione pietroburghese di Kresty, a marzo scriveva: «Oggi era una giornata così soleggiata che per un secondo ho scordato dove fossi».


«Una vera epurazione distopica»
Jura Shust è nato a Maladzyechna, in Bielorussia. Si è trasferito a Vilnius, in Lituania, nel 2010 per gli studi triennali, poi in Belgio, a Gand per la laurea magistrale. Ora si trova a Berlino e l'estate scorsa ha tenuto una personale presso la Exile Gallery a Vienna. Ci parla della vita da artista sotto la dittatura di Alexander Lukashenko.

Com’è la Bielorussia per un artista?
Penso di essere diventato davvero un artista soltanto all’estero, perché in Bielorussia è un mestiere piuttosto elitario. Si potrebbe paragonare la vita di un artista contemporaneo in Bielorussia a quella di un poeta classico.

Quando ha capito che è pericoloso per un artista vivere sotto la dittatura di Lukashenko?
Sono cresciuto in una famiglia dove non ci si faceva illusioni su Lukashenko. Era già tutto chiaro nei primi anni in cui è arrivato al potere. I video delle proteste della Primavera di Minsk nel 1996 mi hanno lasciato un segno indelebile. Il settore della cultura era regolarmente represso e tenuto al guinzaglio. Già allora era evidente che la scena dell’arte contemporanea in Bielorussia doveva muoversi nella clandestinità.

Come stanno i suoi amici artisti in Bielorussia?
Sono davvero pochi quelli rimasti nel mio Paese. Alcuni si trovano in residenze temporanee all’estero e non sanno se potranno rientrare. Quelli che sono rimasti si muovono con estrema cautela perché la Bielorussia è nel pieno di una vera e propria epurazione distopica. Chiunque la pensi diversamente vive nel terrore di essere arrestato.

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