L’arte contemporanea nella Biblioteca Apostolica Vaticana

Ispirate allo straordinario patrimonio documentario, le opere di Pietro Ruffo ci accompagnano fino alla sala in cui è stata ricostruita la biblioteca di Palazzo Barberini con il busto di Urbano VIII di Bernini

«The clearest way» di Pietro Ruffo, nella Sala Barberini. Foto Emanuele Angelini. © Biblioteca Apostolica Vaticana Una veduta della Sala espositiva nella Biblioteca Apostolica Vaticana. Foto Emanuele Angelini. © Biblioteca Apostolica Vaticana Pietro Ruffo alla Biblioteca Apostolica Vaticana. Foto Emanuele Angelini. © Biblioteca Apostolica Vaticana Alcune opere di Pietro Ruffo in mostra presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Foto Emanuele Angelini. © Biblioteca Apostolica Vaticana
Arianna Antoniutti |  | Roma

Per la prima volta nella sua storia secolare la Biblioteca Apostolica Vaticana si apre all’arte contemporanea. Fondata a metà del Quattrocento da Niccolò V, la Biblioteca fu da Sisto IV ampliata e affidata alle cure del primo prefetto dell’istituzione, Bartolomeo Platina, effigiato accanto al pontefice nell’affresco del 1477 di Melozzo da Forlì, staccato da uno degli ambienti della Biblioteca e conservato presso la Pinacoteca dei Musei Vaticani.

La Biblioteca, retta dall’archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa cardinal José Tolentino Calaça de Mendonça e dal prefetto monsignor Cesare Pasini, possiede un patrimonio di circa 180mila volumi manoscritti e d’archivio, 1,6 milioni di libri stampati, circa 9mila incunaboli, 300mila tra monete e medaglie, oltre 150mila stampe, migliaia di disegni e matrici e oltre 200mila fotografie.

Nella Sala espositiva Kerkorian, creata con il sostegno degli eredi dell’imprenditore statunitense Kirk Kerkorian, la Biblioteca ospita la mostra di Pietro Ruffo «Tutti. Umanità in cammino». All’interno dello spazio espositivo permanente, la personale dell’artista romano sarà visibile da martedì 16 novembre al 25 febbraio.

Ruffo, da sempre interessato al tema della mappatura del cielo e della terra, ha qui attinto ai documenti posseduti dalla Biblioteca, mappe, astrolabi, planisferi, dando vita a opere che partono dalla cartografia ma alludono ad altro. Il dialogo con le opere della Biblioteca è andato di pari passo con il dialogo fra artista e curatori della mostra: don Giacomo Cardinali, Simona De Crescenzo e Delio Vania Proverbio.

Su mappe terresti e celesti Ruffo ha intagliato sagome di storni, che simboleggiano la migrazione, o ha tracciato a penna bic popoli che, dice l’artista, «non coincidono mai con il territorio al quale dovrebbero appartenere, come se questo flusso migratorio non potesse essere racchiuso dentro i confini nazionali». La mostra nasce come riflessione sull’enciclica «Fratelli tutti» di papa Francesco, dedicata alla cultura dell’incontro.

«Per illustrare incontri e sincretismi» dice Delio Vania Proverbio «abbiamo in mostra anche preziosi documenti antichi come la mappa celeste realizzata in Cina dal gesuita Johann Adam Schall von Bell nel 1634, espressione del più alto livello raggiunto dalla scienza europea nella prima metà del Seicento, e il Libro delle stelle fisse dell’astronomo persiano 'Abd al-Rahmān al-Ṣūfi, un classico della letteratura scientifica araba medievale. O ancora, un’opera che non solo per la prima volta esponiamo, ma che per la prima volta srotoliamo. Si tratta di un rotolo lungo oltre 5 metri, una mappa del Nilo (ante 1682) dello scrittore e viaggiatore turco Evliya Çelebi». Sulla fedele riproduzione della mappa, posizionata alle spalle del rotolo originale, Ruffo ha disegnato «Nilo blu», un’umanità in cammino che va a convergere sullo sponde del fiume.

Ma le mappe non sono sempre e solo rappresentazioni dello spazio reale, come asserisce don Giacomo Cardinali, «in questo viaggio che abbiamo compiuto con Pietro Ruffo, viaggio che ci ha consentito di riconsiderare il nostro stesso patrimonio con uno sguardo inedito, abbiamo attraversato anche territori e momenti in cui l’uomo ha utilizzato la categoria mentale della cartografia non per descrivere la terra, ma per descrivere i proprio sogni, incubi, ideali, aspirazioni».

Ed ecco dunque una sezione della mostra che ospita mappe e carte non geografiche, che delineano una cartografia emozionale o figurata, una «mappatura dell’invisibile», come sottolinea  Simona De Crescenzo, che così illustra una rappresentazione allegorica dell’Europa: «In questa carta, disegnata nel 1794-1804 da Hendrik Kloekhoff, un personaggio femminile è sovrapposto a una vera carta geografica. Questo tipo di immagine era già diffusa dal Medioevo, ma qui non è il corpo della donna a dare forma ai vari stati, bensì è la stessa figura umana a essere sovrapposta alla mappa reale, in una raffigurazione antropomorfa non priva di connotazione ironica, perché anziché la regina fenicia Europa, solitamente utilizzata per delineare gli stati europei, qui la donna non è una regina ma un personaggio di ceto sociale chiaramente inferiore».

La mostra si chiude con un intervento di Pietro Ruffo, «The clearest way», appositamente pensato per uno spazio dal considerevole valore artistico e storico: la Sala Barberini. Essa ospita la struttura lignea della biblioteca che, nel Seicento, Giovanni Battista Soria realizzò in Palazzo Barberini. La biblioteca, con il suo prezioso contenuto di stampati, manoscritti e carte d’archivio appartenuto ai principi Barberini, venne acquisita nel 1902 dalla Santa Sede, ricostruita soltanto nel 2007 e destinata a sala conferenze.

Gli scaffali sormontati da un busto di Urbano VIII di mano di Gian Lorenzo Bernini, sono ora occupati da migliaia di rotoli di carta millimetrata applicata su tela, sui quali Ruffo ha disegnato una foresta. «Quando sono entrato in questa meravigliosa struttura lignea, completamene vuota e inizialmente non prevista nel percorso espositivo, ho subito voluto renderla approdo e focus dell’esposizione. Ho immaginato la quotidianità di un bibliotecario, che, per ogni volume preso dallo scaffale, compie un viaggio in un mondo più o meno conosciuto. Questa era la sensazione che volevo riprodurre: una radiografia dell’anima del ricercatore e del bibliotecario. Il risultato finale del nostro lavoro, perché realmente questa è una mostra nata dal confronto e dallo scambio continuo, è un progetto espositivo in cui si incontrano molte epoche diverse. Ogni opera della Biblioteca qui esposta è stata creata da un artista, come me, contemporaneo alla propria epoca. In queste sale è come se la storia si fondesse, ciascuno racconta la propria contemporaneità, e lo fa con gli stessi strumenti: la penna, la carta, la china».

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