L’Inferno sono le nostre paure

La visione di Dante è il punto di partenza del viaggio negli Inferi di Jean Clair alle Scuderie del Quirinale: il mondo diabolico come luogo di penitenza eterna e metafora dell’alienazione attuale

«L'inferno» (1510-20 ca), di autore anonimo, Lisbona, Museu Nacional de Arte Antiga © Bridgeman Images
Elena Franzoia |  | Roma

Nessuna delle Cantiche dantesche è stata fino dal suo apparire conosciuta, amata e celebrata quanto l’Inferno. La sua capacità di evocare un universo interiore e passionale che appartiene alle eterne pieghe dell’animo umano e di suggerire un immaginario visivo dalla ineguagliata potenza iconica è protagonista della grande mostra con cui le Scuderie del Quirinale celebrano i settecento anni dalla morte del Poeta. «Inferno di Jean Clair» (15 ottobre-9 gennaio) dichiara fin dal sottotitolo l’illustre paternità di una curatela affidata all’Accademico di Francia Jean Clair, pseudonimo di Gérard Régnier, da sempre a suo agio nell’esplorare i fertili (e storicamente persistenti) «terrains vagues» che si aprono tra arti visive e letteratura, scienza, studio della psicologia umana.

«Ciò che mi interessa è la storia delle forme dell’arte non fine a sé stessa, ma come testimonianza dell’identità di un’epoca», aveva dichiarato in anticipo Clair al nostro giornale. «Il settecentesimo anniversario della morte di Dante è del resto solo un’occasione, per quanto magnifica, per soffermarsi su un timore universale e fondato che ci interroga nuovamente in quanto umanità da una decina d’anni, alimentato dalla problematica della scomparsa degli animali, della penuria dell’acqua, della distruzione della natura, della crisi dell’agricoltura, e che l’epidemia attuale, con l’esperienza dell’isolamento, continua ad alimentare: la paura della sesta estinzione delle specie e della scomparsa dell’uomo sulla Terra».

Quanto alla mostra, «per la prima volta un’esposizione d’arte indaga l’universo diabolico, raccontando la sua fortuna iconografica, dall’antichità ai nostri giorni, così da offrire una nuova interpretazione all’immaginario del poeta fiorentino che nella Divina Commedia ne ha elaborato una vera e propria mappa mentale e simbolica», sostiene il celebre curatore. «Asse portante dell’intero percorso espositivo, la visione di Dante sul mondo degli inferi permette di interrogarsi sull’evoluzione storica del concetto del Male e sulla sua condanna. Traendo ispirazione dalla sublime evocazione ctonia di Alighieri, l’Inferno viene esplorato nella mostra, di volta in volta, come luogo di penitenza eterna e metafora dell’alienazione umana».

In uno straordinario excursus dalle miniature medievali all’arte contemporanea, Clair ha strutturato un percorso articolato in dieci sezioni. La porta dell’inferno si apre sul mondo diabolico con un omaggio all’opera omonima di Auguste Rodin, gettando uno sguardo alla concezione predantesca dell’Aldilà e chiudendo con la tela di Gustave Doré «Dante et Virgile dans le neuvième cercle de l’enfer». Con «La topografia del Male» i luoghi infernali diventano protagonisti, offrendo l’occasione di affrontare il tema, così centrale nella storia dell’arte, della caduta degli angeli ribelli e del Giudizio Universale, da Brueghel a Rubens.

La terza sezione «Dante e la Divina Commedia: i capolavori del disegno» presenta non solo celebri opere su carta di Botticelli e Stradano, ma anche la ritrattistica legata alla figura di Dante da Bronzino a Gabriel Rossetti. Ad altri celebri personaggi del mito e della letteratura che si narra abbiano oltrepassato le soglie del mondo dei morti (Ulisse, Dioniso, Orfeo, Ercole, Enea, Gesù Cristo) è dedicata la quarta sezione «Viaggiatori all’inferno (catàbasi)», che chiude la parte della mostra più strettamente focalizzata sulla Commedia dantesca. A partire dalla quinta sezione infatti, «L’inferno viene a noi», terrore, fascinazione e suggestione del tema diabolico appaiono intridere la storia stessa dell’umanità.

Se le tentazioni di Cristo e sant’Antonio sono esplicate da opere che portano la firma di Bosch e Salvator Rosa, «L’inferno in terra» propone la rappresentazione delle guerre e delle epidemie nell’arte compresa tra Cinque e Ottocento, con particolare attenzione per l’opera di Callot e Goya. Il fascino dell’Inferno esercitato su tutte le arti dal periodo illuminista a quello romantico, con opere di Goethe, Blake, Füssli e Delacroix, lascia spazio nell’ottava sezione a «L’inferno della psiche», e cioè a quella medicalizzazione del male che con la nascita della psichiatria ha sottratto all’esorcismo e alla superstizione, affidandola alla scienza, la cura delle malattie mentali. Non poteva mancare la ferma, politica condanna delle dittature novecentesche de «L’inferno e i totalitarismi, anche se la mostra chiude con un messaggio di rinascita e speranza. È infatti il Giardino Terrestre, luogo di conciliazione e armonia, il protagonista dell’ultima sezione «Epilogo: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”».

«Il tema dell'Inferno mi abita da tempo, ci ha detto Jean Clair. Già nel 2006 avevo proposto un progetto di mostra ad alcuni musei francesi e al Prado di Madrid, che possiede il più bel quadro al mondo sul tema, il trittico di Bosch. La risposta era stata no, come se fosse incongruo all’epoca interessarsi all’Inferno. Ho dunque accolto con fierezza e gioia l’invito delle Scuderie del Quirinale a curare per loro una mostra sull’Inferno di Dante, senza che fossi stato io peraltro a sollecitare il museo. Il progetto realizza per così dire un mio sogno di lunga data: quello di concludere il mio lavoro di curatore di mostre su un tema spettacolare, e che mi sta particolarmente a cuore».

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