Fine business per i Sackler

Finanziavano grandi musei come V&A, Tate e Louvre, dove campeggiava il loro nome, ma ora dovranno pagare 4,5 miliardi di dollari e chiudere l’azienda farmaceutica che produce l’oppioide OxyContin

L’artista e fotografa Nan Goldin durante una delle manifestazioni di protesta da lei organizzate contro i musei che hanno accettato finanziamenti dalla famiglia Sackler
Cristina Ruiz |

Ai membri della famiglia Sackler che possiedono, gestiscono e hanno guadagnato miliardi di dollari grazie alla Purdue Pharma, l’azienda farmaceutica che produce l’oppioide OxyContin (diffusissimo negli Usa, crea una forte dipendenza), sarà impedito di ottenere «naming rights» nei musei (ossia il diritto di intitolare con il proprio nome spazi museali in cambio di donazioni e finanziamenti, come nel caso della Sackler Wing nella National Gallery di Londra) fino a quando non avranno pagato 4,5 miliardi di dollari, come stabilito dagli accordi transattivi che prevedono un risarcimento per le morti e i danni psicofisici provocati dall’OxyContin.

Secondo un rapporto depositato a luglio presso il Tribunale fallimentare degli Stati Uniti a White Plains (N.Y.) e stilato da un mediatore nominato dallo stesso tribunale, i Sackler devono anche «uscire da tutte le aziende che in tutto il mondo si occupano di produzione o vendita di oppioidi», prima di poter richiedere «naming rights in cambio di fondi in beneficenza». Quindici Stati americani, tra cui Massachusetts, New York, New Jersey e Pennsylvania, hanno accettato le condizioni dell’accordo rinegoziato dopo mesi di discussioni.

Secondo i nuovi accordi, i Sackler dovranno inoltre pagare 50 milioni di dollari e rendere noti «decine di milioni» di documenti interni relativi al loro ruolo nella produzione, commercializzazione e distribuzione dell’OxyContin, inclusa la corrispondenza riservata risalente a decenni fa. In cambio, i 15 Stati hanno rinunciato a ogni obiezione alla proposta di ristrutturazione della Purdue Pharma prima della vendita o scioglimento della società entro il 2024.

I Sackler cederanno inoltre il controllo di due fondazioni di famiglia con un patrimonio di «almeno 175 milioni di dollari», la Raymond and Beverly Sackler Foundation e il Raymond and Beverly Sackler Fund for the Arts and Sciences. Queste fondazioni, afferma il rapporto del mediatore, limiteranno i loro scopi a quelli «coerenti con gli impegni filantropici per attenuare le conseguenze provocate dall’uso di oppioidi». In totale, i membri della famiglia Sackler stanno contribuendo con circa 4,5 miliardi di dollari all’accordo, attingendo dal loro patrimonio di 11 miliardi, che deriva in gran parte dalla Purdue Pharma.

Nove Stati, tra cui California, Connecticut e il Distretto di Colombia, hanno respinto l’accordo perché esclude qualsiasi futura richiesta di risarcimento in sede civile contro i Sackler e la Purdue Pharma. Negli ultimi anni la Purdue ha raggiunto diversi accordi a fronte di richieste di risarcimento ma a giugno 2018 la procuratrice generale del Massachusetts, Maura Healey, è stata la prima a chiedere l’accertamento della responsabilità non solo della Perdue ma anche dei suoi proprietari, facendo causa a otto membri della famiglia Sackler per aver sostenuto la vendita dell’OxyContin, farmaco che, pur negandolo pubblicamente, sapevano essere molto dannoso (per il «New York Times», negli ultimi vent’anni più di 500mila americani sono morti per overdose di farmaci da prescrizione e oppioidi illegali). La mossa della Healey è stata seguita da molti altri Stati.

I Sackler negano tutte le accuse di condotte illecite. Tra i membri della famiglia presi di mira dal Massachusetts c’è Theresa Sackler, importante benefattrice di musei in Gran Bretagna, tra cui il Victoria and Albert Museum di Londra, di cui è stata amministratrice fiduciaria dal 2009 al 2019, la Serpentine Gallery e la Tate.

«Dal giorno in cui abbiamo aperto l’indagine e siamo diventati il ​​primo Stato a citare in giudizio i Sackler, il mio ufficio si è impegnato a rivelare la verità sull’epidemia di oppiacei che i Sackler e la Purdue Pharma hanno creato, devastando innumerevoli famiglie americane, ha dichiarato la procuratrice generale Healey dopo l’accordo transattivo. Anche se so che questa risoluzione non riporta indietro i propri cari o annulla il male provocato dai Sackler, costringerli a rivelare i loro segreti fornendo tutti i documenti, a rimborsare miliardi e a uscire dal business degli oppioidi aiuterà a impedire che qualcosa del genere accada di nuovo».

Nel 2019 la Purdue Pharma si è avvalsa degli strumenti di protezione previsti dal diritto fallimentare statunitense come strumento per definire con un accordo circa 3mila iniziative giudiziarie che ha dovuto affrontare contro Governi statali e locali, gruppi di nativi americani, ospedali e altri. Queste iniziative hanno portato a un maggiore controllo da parte della stampa sui beni della famiglia Sackler, in particolare da parte delle riviste «The New Yorker» ed «Esquire» (e, in Italia, proprio «Il Giornale dell’Arte» con «The Art Newspaper»), che hanno entrambe pubblicato importanti inchieste dal 2017, e a una campagna di protesta rivolta ai musei guidata dalla fotografa Nan Goldin. In risposta, diversi musei, tra cui la Tate di Londra, hanno dichiarato che non accetteranno più i soldi della famiglia. Alcuni, come il Louvre di Parigi, hanno cancellato il nome Sackler dalle loro pareti.

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