Questa città è la capitale del mare

Paolo Verri affianca il sindaco di Genova Marco Bucci alla guida della finale di The Ocean Race 2023. Un appuntamento velistico internazionale trasformato in un evento culturale per tutti

Paolo Verri. © Pietro Battisti
Anna Orlando |

Tra gli obiettivi più ambiziosi raggiunti dal sindaco di Genova Marco Bucci, «l’uomo del ponte», vi è quello di ospitare la finale del grande appuntamento velistico internazionale The Ocean Race in giugno 2023. L’avvicinamento a un’estate non così lontana presuppone un team dedicato, al lavoro già da un anno. Al timone c’è Paolo Verri, torinese, classe 1966, direttore esecutivo di Genova The Grand Finale. Manager d’esperienza per cultura e grandi eventi, si occupa di strategie e processi urbani, turistici e culturali: direttore del Salone del Libro nel 1993-97 e poi delle strategie della città e area metropolitana di Torino nel 2000-06 (inclusi i giochi olimpici); ha lavorato ai festeggiamenti dell’Unità d’Italia nel 2011 e come responsabile del palinsesto eventi del Padiglione Italia ad Expo 2015; a Matera dal 2011 al 2020, ha prima coordinando la candidatura vincente della città a capitale europea della cultura e poi ne ha diretto gli eventi.

C’è un elemento comune tra gli obiettivi professionali delle sue passate esperienze che vale per Genova?

Ho esordito come volontario del Salone del Libro, uno di quelli che accompagnavano gli scrittori negli incontri con il pubblico. Nel successivo percorso professionale, l’orientamento al pubblico non è mai venuto meno. Ma la missione principale quando lavoro all’organizzazione di un grande evento è ottenere che i primi a esserne orgogliosi siano i cittadini che lo ospitano. L’obiettivo è la loro partecipazione attiva e sentita: ospitare l’evento non deve essere solo motivo di orgoglio effimero, ma un’occasione per capire cosa questo può dare in termini di crescita della città, del territorio, della regione e per riflettere sui propri valori.

C’è una formula magica per raggiungere pubblici diversi?

Vengo spesso chiamato a dare testimonianza ai giovani, dopo il successo di Matera, dove avevamo l’obiettivo di 600mila visitatori e abbiamo ottenuto 900mila pernottamenti, quindi ben più presenze, spendendo 6 milioni in meno del previsto (48 invece di 54). Ho cercato di mettere a fuoco più che altro il percorso da fare per non sbagliare. In sintesi: mai partire convinti che la propria proposta sia giusta; cercare consenso prima tra gli esperti del settore e poi nel territorio. Solo dopo questi passaggi, la proposta diventa il progetto da rivolgere a tutti con buone probabilità di successo.

Più pubblici significa più registi di comunicazione?

Servono almeno cinque registri di narrazione: per gli esperti, le istituzioni, i media, il pubblico locale e chi viene da fuori. Bisogna mettere insieme un pacchetto di contenuti, relazioni e modelli che tengano insieme questa esigenza generale. Non è tollerabile giustificarsi dicendo «non sono stato capito». L’errore è sempre chi non ha saputo trasmettere il messaggio.

Una produzione culturale corretta deve sempre essere rivolta a molti?

Non mi interessa qualcosa che sia rivolto a pochi. Ritengo fondamentale tenere insieme spontaneità e leggerezza interiore con la consapevolezza di stare lavorando a qualcosa che serve a tanti.

Con un grande evento sportivo è più facile raggiungere pubblici diversi?

Sembrerà paradossale, ma un evento sportivo è molto più «verticale», cioè per gli appassionati del settore. Il mio lavoro per The Ocean Race, e credo anche la ragione per cui sono stato scelto, è proprio allargare il pubblico. Ci si potrebbe rivolgere solo al bacino degli 800mila appassionati. Invece parliamo dei velisti agli altri. La sfida è far capire che non sono dei signori ricchi che vanno in barca: sono uomini dalla straordinaria qualità psicofisica per sopportare turni durissimi con pochissime ore di sonno durante le traversate; esperti di tecnologia, perché devono sostenere una velocità che arriva a 90 km orari; capaci di interpretare i segni del tempo e, cosa più importante di tutto, ci insegnano che negli oceani c’è un grado di sostenibilità assai più alto che a terra. Così tutti possono capire meglio il ruolo del mare, che deve essere al centro della considerazione di tutti. Perché mare non vuol dire solo spiaggia.

In che senso un evento culturale è meno «verticale»?

Entra più naturalmente in gioco la dimensione della città e del territorio. Come dovrà essere per The Ocean Race. Gli organizzatori dell’evento mondiale sanno bene che la scelta del luogo è fondamentale e che Genova rappresenta un’occasione straordinaria, innanzi tutto per loro: non una piccola città di mare, ma una metropoli che ha fatto del mare la condizione per lo sviluppo della propria storia. Ha una dimensione urbana meravigliosa e la cultura di Genova, intesa come storia degli ultimi cinquecento anni in rapporto all’Italia, all’Europa e all’umanità, è un enorme valore aggiunto al servizio dell’evento che diventa così meno «verticale».

I genovesi hanno consapevolezza di questa potenzialità enorme?

Paradossalmente ora dobbiamo proprio lavorare perché la stessa città prenda maggiore coscienza di questo. Che non è un fatto solo economico.

Che cos’è la cultura e che rapporto ha con l’economia?

La cultura è l’insieme dell’offerta del patrimonio, del sentimento della città, degli stili di vita, ma anche della bellezza dell’interior design dei negozi; sono i grandi chef di un territorio, i mercati, gli scorci. La cultura è tutto quello che produciamo. Non è l’esito della società, né un prodotto economico immateriale, come erroneamente credono in molti. Quelle sono le conseguenze: il fatto che per ogni euro investito in produzione culturale ne tornano fra i 6 e i 12, quindi una media di 9 euro in più di quanto investito, fa sì che possiamo fare cultura con tranquillità dal punto di vista economico, con ritorni buoni per la comunità. Ma il ritorno si calcola innanzi tutto in termini di qualità della vita.

L’arte fa vivere meglio?

Visitare una città o una mostra, o anche semplicemente ammirare un capolavoro, non è mai un’azione economica. Né un atto passivo: ci serve per capire chi siamo, da dove veniamo e dove vogliamo andare. Lo sguardo di Eugenio Montale, un verso di De André o anche di un giovane rapper genovese, sono necessari per capire noi stessi e riflettere sul senso della nostra vita.

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