A Ferrara le donne, i cavallier, l’arme, gli amori

Nel Castello Bolzani e Zamboni fanno rivivere il fantastico mondo cavalleresco dell’Orlando furioso

«Astolfo con il senno di Orlando» nella lettura di Bolzani e Zamboni
Pietro Di Natale |  | Ferrara

Sebbene è spento nel mondo il grande e il bello e il vivo, non ne è spenta in noi l’inclinazione.
Giacomo Leopardi

Non contaminati dalle mode e dal potere dell’ovvio Sara Bolzani (Monza, 1976) e Nicola Zamboni (Bologna, 1943), scultori «sociali», resistono, combattono la battaglia di un tempo perduto, in nome della kalokagathía. Non si preoccupano di essere «originali», non desiderano che le loro opere vengano «spiegate», si guardano bene dal lasciare l’osservatore in preda alla perplessità. Il loro principale obiettivo è esprimere concetti universali con semplicità e umiltà.

Entrambi sono classicisti convinti: per loro, come già per Johann Joachim Winckelmann, «l’umiltà e la semplicità sono le due vere sorgenti della bellezza». Le loro opere, pubbliche e «da stanza», raccontano di uomini, di luoghi, di tradizioni; vivono a contatto con la carne del mondo e sono capaci di farci vedere in modo nuovo l’unico sogno possibile: la realtà.

Manifesto della poetica di Bolzani e Zamboni è il monumentale gruppo scultoreo intitolato «Umanità» al quale lavorano, gomito a gomito, da oltre vent’anni. Ispirata al trittico con la Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, l’opera, a grandezza naturale, è una straordinaria allegoria della vita e dei tempi antichi e moderni: accanto a cavalieri che combattono in sella a possenti destrieri, nucleo fondante dell’insieme, e a personaggi di sapore epico-cavalleresco, vi figurano alcuni attori dei nostri giorni, emarginati, migranti, profughi, «vite di scarto» che, marciando in silenzio, incarnano gli orrori della guerra e la tragedia delle migrazioni.

L’unicità dei pezzi che compongono il gruppo è garantita dalla complessa lavorazione in rame, per «via di mettere», un virtuoso collage di lamine saldate una a fianco all’altra entro un disegno preordinato. In occasione della mostra al Castello Estense, visitabile a ingresso libero fino al 29 settembre, si è scelto di declinare «Umanità» in chiave ariostesca.

Le vicende guerresche e amorose del fantastico mondo cavalleresco dell’Orlando furioso sono evocate dalle gesta dei personaggi, tra i quali spiccano alcuni protagonisti del poema come Angelica e Astolfo con il senno di Orlando. La narrazione visualizza in modo efficace il verso d’apertura («Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori») del capolavoro concepito da Ludovico Ariosto nella Ferrara estense e stampato in città nel 1516.

Il poeta è presente, coronato d’alloro e vestito all’antica, in piedi accanto a un tavolo dotato di una “sedia alata” che simboleggia la possibilità di elevarsi, di viaggiare con la mente, di ampliare i propri orizzonti attraverso la letteratura. Nel cortile infuria la battaglia: concitati duelli, cavalieri atterrati, altri in sella a destrieri impennati, guerriere pronte a scoccar frecce, un saraceno con la scimitarra, un musulmano a cavallo accompagnato da donne velate e anche due combattenti che hanno abbandonato le armi per dedicarsi all’amore.

«Omnia vincit amor». E ancora, sul campo, si consumano rapimenti (uno dei quali ispirato al Ratto delle Sabine del Giambologna nella Loggia dei Lanzi), mentre un angelo, esemplato sul gemello della celebre Melencolia I di Albrecht Dürer, scrive la storia di un cavaliere caduto, e di tutti noi. La vita è lotta, come ricordava Seneca a Lucilio: «Vivere militare est».

Il racconto è impreziosito da un omaggio a un’icona della città di Ferrara: una interpretazione scultorea del San Giorgio e il drago dipinto nel 1469 da Cosmè Tura, capolavoro della pittura rinascimentale, custodito nel Museo della Cattedrale, nel quale il grande maestro, come sottolineava Mario Salmi (1957), «offre dell’episodio agiografico una favola legata ad una sua originale visione ed insieme all’ambiente cavalleresco della corte estense». Nella spettacolare Umanità, opera simbolo dell’arte di «retroguardia» di Sara Bolzani e Nicola Zamboni, «il grande e il bello e il vivo» ardono ancora sulla preziosa pelle del rame.

© Riproduzione riservata Un particolare di «San Giorgio e il drago» di Bolzani e Zamboni «Omnia vincit amor», di Sara Bolzani e Nicola Zamboni
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