IL MUSEO INFINITO | Museo Gregoriano Egizio

Storia, opere e luoghi dei Musei Vaticani, a cura di Arianna Antoniutti. La Sezione di Antichità Orientali. Nascita della collezione

La Sala VIII, dedicata alle Antichità del Vicino Oriente Antico La Sala IX, con rilievi e iscrizioni dei palazzi assiri La Sala VII, dedicata ad Alessandria e Palmira
Mario Cappozzo |  | Città del Vaticano

Dopo aver visitato il Museo Gregoriano Egizio guidati da Alessia Amenta, curatore del reparto Antichità Egizie e del Vicino Oriente dei Musei Vaticani, Mario Cappozzo, assistente del reparto, ci illustra in che modo si è formata la sezione di Antichità Orientali, la collezione ospitata nelle ultime tre sale del Museo Gregoriano Egizio.

Il reparto ospita un’importante collezione di antichità del Vicino Oriente antico, testimonianza delle antiche culture che fiorirono nella regione mesopotamica e siro-palestinese a partire dalle epoche preistoriche fino al periodo bizantino e islamico. Si tratta di una collezione assai ricca ed eterogenea, che si impone per la vastità delle culture documentate e per la particolarità dei monumenti conservati. In particolare la sezione ospita le più importanti e vaste raccolte di rilievi assiri e di ritratti palmireni presenti in Italia. Particolarmente significative sono poi le collezioni di tavolette cuneiformi e di glittica mesopotamica, oltre a importanti testimonianze delle culture palestinesi datate a partire dal IV millennio a.C. Di particolare interesse sono anche le collezioni di litica siro-palestinese che racchiudono un arco cronologico che va dal Paleolitico al Neolitico.

Come si è formata questa collezione?
La collezione si è formata in tempi e modi diversi, accrescendosi soprattutto grazie a donazioni e lasciti. Il primo apporto in ordine di tempo è costituito dai rilievi assiri, opere che in antico decoravano gli antichi palazzi imperiali dei re d’Assiria. I primi rilievi giunsero nelle collezioni vaticane nella seconda metà del XIX secolo, talora con modalità non chiaramente identificate.

Ma la donazione più cospicua fu fatta a Pio IX nel 1855 da Giovanni Bennhi, un cattolico iracheno di Mossul che aveva preso parte ai primi scavi del console francese d’origine italiana Paul-Emile Botta, il mitico scopritore delle vestigia assire, a Khorsabad e a Ninive, collaborando successivamente, sempre a Khorsabad, sia con l’archeologo inglese Austen Henry Layard sia con Hormudz Rassam, archeologo e fratello del vice-console britannico Christian Rassam. Siamo ai primordi della riscoperta delle antiche culture del Vicino Oriente, quando le prime missioni, che videro protagonisti soprattutto gli inglesi e i francesi, al tempo vere potenze dominatrici del Vicino Oriente, iniziarono l’esplorazione archeologica di tutta l’area vicino orientale.

Giovanni Bennhi fu abile a mettere a disposizione dei diplomatici francesi e inglesi le sue conoscenze del territorio e della popolazione locale, riuscendo a ottenere per il Vaticano una significativa serie di rilievi, esempio mirabile dell’arte assira che proprio in quegli anni veniva riscoperta, meravigliando tutto il mondo, non solo quello scientifico. Fu proprio da questi primi passi che l'archeologia orientale divenne scienza e il Bennhi può a giusto titolo essere identificato come un pioniere di questa disciplina.

Il Vaticano non poteva essere disinteressato alla riscoperta delle culture dell’antico Oriente. Di queste antiche civiltà, fino ad allora, si sapeva solo quello che ci raccontava l’Antico Testamento. La loro riscoperta non giovò solo alla conoscenza della storia di quella regione, ma contribuì anche a fare meglio conoscere le relazioni fra il popolo ebreo e le culture assiro-babilonesi e quindi a dare nuovo vigore agli studi biblici. E proprio questa motivazione spinse il Museo Gregoriano Egizio, quasi un secolo dopo, a dotarsi di una vera e propria sezione dedicata all’archeologia palestinese e del Vicino Oriente. Fu infatti monsignor Gianfranco Nolli, curatore del museo dal 1966, a far diventare quello che prima era solo un Gabinetto di antichità assire un vero e proprio Museo di Antichità Orientali.

Per Nolli, esperto di studi biblici e di archeologia siro-palestinese, i musei non dovevano solo essere mere raccolte di antichità, ma veri e propri mezzi di cultura di massa. Per questa ragione, i Musei Vaticani dovevano possedere anche reperti riguardanti le antiche civiltà orientali per illustrare meglio le origini remote del Cristianesimo. Le antichità orientali, raccolte in una sezione coerente e ordinata, avrebbero parlato ai visitatori un linguaggio «biblico» avvicinandoli alle radici del Cristianesimo.

Per dar vita al suo progetto, Nolli intraprese personalmente ricerche in Palestina, operando anche acquisti sul mercato antiquario, nonché ricorrendo a scambi e doni con altre Istituzioni. Tra i materiali acquisiti dal Nolli si menzionano una serie di vasi del Bronzo Antico I (metà-fine IV millennio a.C.) dalla necropoli di Gerico e un insieme di reperti, costituito da vasi in ceramica e armi in bronzo relativi a sei corredi funerari provenienti dalla stessa località e datati al Bronzo Antico IV (2300-2000 a.C.).

Il progetto di Nolli continuò anche dopo la sua morte. Nel 1982, infatti, il Museo Gregoriano Egizio ebbe un ulteriore importante accrescimento, con l'acquisizione, in qualità di deposito permanente, della collezione del Pontificio Istituto Biblico di Roma. Questa raccolta, oltre a possedere importanti reperti dell’antico Egitto databili dall’Epoca predinastica al periodo copto e islamico, contava anche una sezione di antichità palestinesi e dell’antica Mesopotamia. Notevoli sono la collezione di tavolette cuneiformi, scritte in sumerico e in accadico, nonché la raccolta di glittica assira e babilonese, una delle più ricche in Italia.

Nel 1999, con il lascito testamentario di Federico Zeri, la collezione si ampliò con un’importante sezione, quella dei ritratti palmireni. In realtà in Vaticano vi erano già tre monumenti di quel genere, entrati nelle collezioni vaticani verso la metà del secolo scorso con modalità non ben documentate, ma con la donazione Zeri la sezione prese corpo e si arricchì di importanti monumenti.

Il celebre storico dell’arte donò ai Musei Vaticani dieci splendidi ritratti, da lui acquistati nel mercato antiquario. Zeri, che riteneva che la sua famiglia discendeva dalla città siriana di Homs (la classica Emesa), in antico strettamente legata a Palmira grazie alla via carovaniera posta lungo un tratto della Via della Seta, aveva  esposto queste opere nel dromos della sua villa di Mentana, quasi fossero una vera e propria galleria degli antenati. Il desiderio di Zeri di donare questi suoi ritratti ai Musei Vaticani scaturiva dalla sua consapevolezza che i Pontefici avevano avuto il merito di raccogliere nel corso dei secoli molte importanti opere d’arte e di averle poi rese accessibili a tutti, prestando anche particolare attenzione alla loro conservazione e gestione.

Negli anni seguenti la collezione ebbe altri piccoli incrementi, soprattutto grazie a donazioni, come quella, per esempio, di mons. Salvatore Garofalo che arricchì la sezione con due interessanti frammenti dei rotoli di Qumran, i cosiddetti Manoscritti del Mar Morto appartenuti, si ritiene, a una comunità di Esseni, una setta religiosa ebraica che conduceva una vita di tipo monastico, sulla quale abbiamo informazione grazie alle opere di Giuseppe Flavio, Filone di Alessandria e Plinio il Vecchio.

La collezione è destinata ancora ad accrescersi e non è escluso che negli anni futuri nuove opere si aggiungeranno.  Lo testimonia anche un ultimo lascito, avvenuto proprio l’anno scorso, ad opera del Pontificio Istituto Biblico di Roma, che ha affidato al Reparto diversi reperti ceramici e litici dell’area siro-palestinese.

IL MUSEO INFINITO
Un viaggio dentro i Musei Vaticani accompagnati da guide d’eccezione: i curatori responsabili delle sue collezioni
A cura di Arianna Antoniutti

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