Dallo stand alla boutique

Le gallerie vanno in vetrina in attesa delle fiere

Veduta dell'allestimento della mostra «The artist is present», di Maurizio Cattelan, tenutasi a Shanghai nel 2018
Franco Fanelli |

Lo dice Massimo Minini; lo ribadisce Eduardo Secci: si può vivere di fiere, ma anche senza. A non farle si risparmia quasi un milione di euro all’anno, e poi ci sono altri modi per raggiungere i collezionisti (magari nel cuore del mercato, a Milano). Ovviamente le fiere torneranno, ma il messaggio è chiaro: i galleristi vogliono essere trattati per quello che sono, cioè clienti, quindi benissimo, dai prezzi degli stand all’organizzazione.

Nel frattempo, l’arte contemporanea si mette in vetrina. Magari non nelle vetrine delle periferie dove il Covid-19 ha massacrato bar, pizzerie, ristoranti e abbigliamento esattamente come ha fatto in centro.

Il rischio di fare incazzare ulteriormente gli esercenti da quelle parti potrebbe avere conseguenze sgradevoli. Così l’arte contemporanea cala la maschera.
Il suo posto, nel Monopoli della ripartenza, è in via della Spiga, mica nei quartieri dove l’epidemia ha moltiplicato le vie della sfiga.

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