La preistoria è nel Castello di Udine

Una grande mostra racconta l’utilizzo delle grotte in Friuli attraverso le tracce lasciate dagli animali e dagli uomini che le hanno frequentate

Veduta interna della grotta Velika Jama
Redazione |  | Udine

La speleologia e la storia della ricerca preistorica in grotta si intrecciano in Friuli Venezia Giulia e costituiscono il principale argomento della rassegna promossa dal Comune di Udine e allestita al Castello di Udine fino al 27 febbraio prossimo intitolata «Antichi abitatori delle grotte in Friuli», che racconta l’utilizzo delle grotte dalla Preistoria attraverso le tracce lasciate dagli animali e dagli uomini che le hanno frequentate.

Alla fine dell’Ottocento in Friuli si accende l’interesse per l’esplorazione delle grotte e lo studio del fenomeno carsico. Da allora oltre 800 grotte del settore prealpino orientale, dalle Valli del Torre a quelle del Natisone e dello Judrio, sono state esplorate e inserite nel catasto grotte. Alcune sono semplici ripari, altre sistemi sotterranei complessi che si sviluppano per chilometri.

Nel 1877 iniziano le ricerche preistoriche in grotta a opera di Camillo Marinoni, cui seguirà l’attività di prestigiosi soci del Circolo Speleologico e Idrologico Friulano, protagonisti della grande scuola geografica italiana di Giovanni Marinelli. Il progetto espositivo ha radici lontane, una solida struttura scientifica e un’importante fase di preparazione collettiva, fatta di sopralluoghi in grotta con i soci del Circolo Speleologico Idrologico Friulano, di ricerca documentale e di selezione dei materiali.

Con i dati raccolti al Riparo di Biarzo, cavità posta in comune di San Pietro al Natisone, si è potuto fare il punto sulle conoscenze delle Valli fin dalla fase più antica della Preistoria: da questo sito provengono strumenti in selce, manufatti in materia dura animale, conchiglie forate e resti faunistici che permettono di ricostruire i modi di vita dei gruppi di cacciatori-raccoglitori che frequentavano le Valli a partire da 13mila anni fa. Sono emersi dati inaspettati: ad esempio lo studio genetico sui campioni di suini ritrovati nei diversi livelli del sito ha messo in discussione la provenienza di questa specie domestica dal Vicino Oriente, ipotizzandone un’addomesticazione locale.

Una grossa fetta delle informazioni giunge dal III millennio a.C. e dai ritrovamenti che da fine Ottocento si fecero nelle grotte delle stesse Valli. Il ritrovamento nei diversi contesti archeologici di una produzione ceramica omogenea permette di ipotizzare l’uso alternativo di recipienti in materie organiche, compatibile con la maggiore mobilità dei gruppi umani, legata forse al popolamento di fondovalle e motivata dalla necessità di stabulazione degli animali durante i periodi di sosta, dal bisogno di una pausa lungo i percorsi di caccia, di fienagione, di ricerca delle materie prime, di attività fusorie o ancora legata ai nuovi rituali funerari.

Tra i materiali ritrovati vi sono spunti inediti per una lettura della frequentazione dell’area e delle grotte. Il vaso a clessidra rinvenuto nella Velika Jama è uno di questi; attribuibile per forma alla sfera culturale centro-europea di Wieselburg-Gàta, questo recipiente viene riferito alle direttrici di trasferimento delle tecnologie metallurgiche attraverso le Alpi orientali, mentre le analisi condotte su esemplari equivalenti presenti in mostra, rinvenuti sul Carso triestino, rimandano a un uso quali contenitori per il latte.

Un percorso appassionante che permette una lettura più chiara di luoghi ed epoche lontanissimi. La rassegna è anche l’occasione per trattare due temi museografici contemporanei: l’accessibilità, in linea con i criteri sviluppati dal progetto Interreg Central Europe COME-IN!, e l’ecosostenibilità, perseguita attraverso l’utilizzo di materiali riciclabili e il riutilizzo di elementi del precedente allestimento. Lo studio di questo territorio dal punto di vista speleologico e preistorico non finisce con la mostra e il relativo catalogo, che sono parte di un lavoro ben più ampio e base imprescindibile per le ricerche future.

Fin dagli anni Ottanta dello scorso secolo, il Museo Friulano di Storia Naturale ha infatti svolto indagini stratigrafiche nel bacino del Natisone e da qualche anno è impegnato nel progetto «Analytic» (Archeology aNd pALeontologY in easTern frIuli Caves/Archeologia e Paleontologia delle grotte del Friuli orientale). La rassegna è promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Udine e organizzata dal Museo Archeologico e dal Museo Friulano di Storia Naturale.

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