L'occhio di Ghirri per la ceramica

Un volume e un esposizione raccontano il sodalizio tra il fotografo e le ceramiche Marazzi

Luigi Ghirri per Marazzi Ceramiche
Stefano Luppi |  | Reggio Emilia

È il 1975 quando Luigi Ghirri varca le soglie della Marazzi, multinazionale della ceramica fondata a Sassuolo nel 1935 da Filippo Marazzi. Ghirri è in una fase di crescita e sperimentazione; Marazzi è un’azienda in forte espansione che di lì a poco inaugurerà un laboratorio di ricerca, il Crogiòlo, invitando artisti, designer, fotografi e architetti a collaborare.

In questo contesto la poetica sensibile di Luigi Ghirri e l’attitudine sperimentale dell’azienda si incontrano e danno vita a un lungo sodalizio. «Mi fa piacere che questo sodalizio in qualche modo oggi continui e venga portato, grazie alla collaborazione con l’Archivio e con Adele Ghirri in particolare, alla conoscenza di tutti gli amanti della fotografia», spiega in poche parole l’amministratore delegato di Marazzi Mauro Vandini presentando il l volume Luigi Ghirri. The Marazzi Years 1975-85 a cura di Studio Blanco, realizzato in due edizioni e sei lingue, non destinato alla vendita in libreria (sul sito le info sulle 29 immagini selezionate).

Un piccolo focus è esposto fino al 4 luglio nei Musei Civici di Reggio Emilia nell’ambito di Fotografia Europea. A Luigi Ghirri (Scandiano, 1943-92) Marazzi chiese di interpretare il prodotto ceramico attraverso il proprio occhio, stile e sensibilità. Poco prima, nel 1974, la Marazzi iniziava ad applicare il brevetto della monocottura, la cottura unica di impasto e smalto che rivoluzionò il settore, i tempi e le destinazioni delle piastrelle di ceramica.

In quel periodo l’azienda fondata quarant’anni prima divenne internazionale, con un export altissimo e l’apertura di fabbriche in mezzo mondo. Questa collaborazione tra la più ampia azienda del comparto ceramico e il fotografo che ha insegnato a guardare il paesaggio, la sua terra padana, è sulla stessa sulla scia di quella con gli altri artisti coinvolti da Ghirri stesso nel progetto di ricerca sulla ceramica che diede vita ai Portfolio Marazzi (Charles Traub, Cuchi White, John Bath), autori che non hanno certo un ruolo meramente rappresentativo del prodotto, pubblicitario, ma che hanno piuttosto aperto la mente a uno spazio «sospeso» e non reale.

«La ceramica, spiegò Luigi Ghirri a proposito del lavoro con Marazzi, ha una storia che si perde nella notte dei tempi. È sempre stata un “oggetto” su cui si vengono a posare altri oggetti: i mobili, i gesti, le immagini, le ombre delle persone che abitano quegli spazi. Realizzando queste immagini ho ripensato a tutto questo e ho cercato di ricostruire, con l’aiuto di superfici di diversi colori, nella sovrapposizione degli oggetti e delle immagini uno spazio che invece di essere lo spazio fisico e misurabile di una stanza fosse l’idea dello spazio mentale di un momento, di una sovrapposizione che può prodursi o si produce, in una delle numerose stanze riscoperte grazie a queste superfici. Questo lavoro, al di là di altri significati, è la ricostruzione di alcune stanze della mia memoria».

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