Intollerabili intolleranti

Le derive della cancel culture negano l’ambiguità fondante delle immagini fotografiche

L'accostamento di fotografie nel libro «London» di Butturini al centro del dibattito
Walter Guadagnini |

Un fatto, serve un fatto per raccontare l'ultimo anno, senza mostre e senza fiere, cioè senza la maggior parte delle situazioni che creano i fatti anche nel mondo della fotografia. Però, si sa, la fotografia è sempre passata, almeno fino agli anni Settanta del Novecento (e sembrano trascorsi cinque secoli non cinque decenni), attraverso i giornali e i libri e allora eccoli lì, i fatti che faranno passare questo periodo alle cronache della fotografia italiana come l’anno in cui anche da noi giunsero gli schizzi.

Gli schizzi di quelle tempeste di merda (chiamiamole in italiano, senza indorare la pillola con l’inglese, così si capisce di cosa si tratti davvero) ormai parte del panorama quotidiano, rischio per chiunque s’azzardi a fare qualcosa il cui interesse vada al di là della stretta cerchia dei familiari e degli amici più intimi. È toccato prima addirittura a un autore impossibilitato a difendersi perché scomparso, Gian Butturini, e a un editore, Damiani, ancora ben presente sulla scena nonostante la scomparsa avvenuta l’anno prima del suo fondatore Andrea Albertini, anche se il vero bersaglio era l’ancor vivo e più che mai attivo Martin Parr, ironico, acuto e garbato fustigatore del kitsch di massa, e splendido conoscitore e studioso di libri fotografici.

Poi si è rimasti interamente sul suolo patrio, e l’attacco ha colpito la decana dei fotoreporter italiani, Letizia Battaglia, una vita in prima fila a difendere con le proprie immagini la legalità e i diritti dei più deboli e in particolare delle donne, accusata, come da tradizione della propaganda bellica, di connivenza col nemico, il maschio capitalista, in questo caso rappresentato dalle auto di grossa cilindrata.

I termini delle questioni sono noti, non occorre qui ripercorrerli, l’innocente accostamento di due immagini in un libro degli anni Sessanta usato come pretesto per accusare di razzismo Butturini e Parr, alcune giovani ragazze in posa come modelle per una campagna pubblicitaria usate per accusare di sessismo la Battaglia.

Ciò che conta è il drammatico montare di questa intolleranza di stampo totalitario che parte, come da manuale, dalla delegittimazione dell’avversario per giungere alla richiesta della sua cancellazione (per il libro di Butturini si è parlato di macero, le copie sono state ritirate: a casa di chi scrive, queste cose si chiamano censura e ricordano nello spirito i roghi dei libri del 1933 a opera dei nazisti, ma tant’è, sono passati cent’anni quasi e la memoria è ormai un optional) sulla base di premesse esclusivamente ideologiche, alle quali è assolutamente inutile opporsi con armi spuntate come il ragionamento, la conoscenza storica, la contestualizzazione, il rispetto delle opinioni altrui.

E soprattutto, nel caso specifico, alle quali sembra inutile (ma nonostante questo non smetteremo mai di farlo) contrapporre le sempre più cruciali riflessioni sull’ambiguità fondante delle immagini fotografiche, sulla loro interpretabilità; sulla necessità sempre più impellente di imparare a gestire la polisemia della fotografia in un momento come quello attuale, nel quale l’immagine fotografica è divenuta il linguaggio più utilizzato anche nelle conversazioni private, dove ognuno di noi comunica con le immagini, come mai prima d’ora.

Ecco, invece di insistere su questa che sarebbe una vera rivoluzione, perché fornirebbe a una platea molto più vasta quella acculturazione all’immagine che già era al centro delle riflessioni di un secolo fa («Non colui che ignora l’alfabeto, ma colui che ignora la fotografia sarà l’analfabeta del futuro») e garantirebbe dunque un pubblico meno succube dei persuasori occulti sempre più presenti tra noi, ci si inventa un nemico con il solo scopo di sostituirsi a lui o lei nella gestione del potere, reiterandone (in alcuni casi persino peggiorandone) i vizi, parlando naturalmente a nome delle vittime (reali) dei poteri del passato. D’altra parte, già Brecht ammoniva dall’esilio che «dalle nuove antenne uscivano le vecchie stupidaggini».

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