Mattia Preti caravaggesco e barocco

Una grande monografia di Keith Sciberras da leggere e non solo da consultare

«Allegoria dei cinque sensi» (1642-1643) di Mattia Preti (dettaglio)
Stefano Causa |

Mai si era visto così Mattia Preti: coinvolgente e muscolare, neocaravaggesco e lontano da tentazioni realistiche; di quei pittori capaci di sprigionare un colore avvampante ed escogitare in dipinti da stanza sott’in su che fanno girare la testa. Mai prima s’era documentato con tale ampiezza quel suo lungo finale maltese dai complessi decorativi tra i più spettacolari del Barocco in trasferta. Quanti possono vantare una familiarità col soffitto a olio su muro della Concattedrale a La Valletta? O a Napoli col severo inquadramento della navata di San Pietro a Majella dove persino ad amici non sprovveduti capita di cianciare di affreschi di Preti (in realtà si tratta di tele)?

Ecco, se con metafora vieta si danno volumi che siano una festa per gli occhi, questo appena uscito sul gran calabrese, cresciuto a Roma, maturato a Napoli e consacratosi tra i cavalieri di Malta, li batte tutti. D’altronde il Preti di Keith Sciberras gioca a favore degli irriducibili convinti che le virtù del conoscitore siano ancora affinabili sfogliando questi parallelepipedi che chiamiamo libri. Confezionato in inglese, il volume riapre il discorso su quanto conti, in opere del genere, l’ausilio critico del fotografo. Perciò meriterebbe di essere cofirmato da Joe P. Borg, che si è incaricato del corredo iconografico. E visto che ci troviamo: a quando una storia fotografica del Barocco italiano e in trasferta?

Nato nel 1613 e morto a Malta nel 1699, Preti è un tema semplice, ma non facile. In questi vent’anni lo si è continuato a riproporre, a rischio di sovraesporlo, come l’ultimo dei mohicani caravaggeschi. Tutte le strade delle mostre recenti sul naturalismo approdano a lui: come non si fosse mai mosso dalle taverne romane e dai quadri giovanili a mezza figura. Ma poi subentrano nella sua agenda gli stimoli di Battistello, dei cavalli della scuderia di Ribera, di Cavallino e passata la boa di metà secolo il confronto, anche generazionale, con Luca Giordano.

Alla fine, benché Preti, calabrese di origine, cioè regnicolo, abbia speso a Napoli meno di dieci anni, i suoi migliori, i napoletani se lo sono annesso alla foto di classe del Seicento, fingendo che Preti non sia mai partito dal Viceregno. A maggior ragione potrebbero rivendicarne diritti di adozione i maltesi, stante il favore ottenuto presso di loro e che lo accredita come il gran maestro degli isolani di importazione. Insomma che lo si dica romano, napoletano o maltese: ciascuno tira Preti dalla sua parte.

Numero uno degli storici d’arte maltesi, Keith Sciberras è cresciuto con i capolavori maturi del Caravaggio negli occhi. Superati i cinquant’anni vanta un suo angolo brillante nella bibliografia sul maestro. Quanto a Preti lo tiene d’occhio da una decade, avendo già dato nel 2012 un lavoro di respiro. Qui confeziona un libro da leggere e non solo da consultare, adottando la strategia non priva di rischi di sbrigare in tre righe quell’indispensabile premessa che chiamiamo fortuna critica, ma che fuori d’Italia nessuno sa bene che cosa sia.

Eppure gli spostamenti della pedina di Preti (dagli apprezzamenti di Cézanne al saggio di Longhi, dal pamphlet di Briganti alle aperture di Vitzthum sui disegni, fino alle ispiratissime volate di Causa) sono il miglior osservatorio per qualcosa che va ben oltre Preti e che stabilisce nientemeno che le fortune della critica stilistica da noi e altrove. Sarà per un altro libro.

Mattia Preti. Life and Works
di Keith Sciberras, 352 pp., ill. col., Midsea Books, La Valletta 2020, € 95

© Riproduzione riservata La Concattedrale di Malta affrescata da Mattia Preti «Concertino con suonatore di clavicordo» di Mattia Preti, collezione privata «Poeta coronato di alloro (Virgilio?)» di Mattia Preti (dettaglio) «San Giorgio a cavallo» (1659 ca.) di Mattia Preti (dettaglio) «Astronomo» (1635 ca.) di Mattia Preti (dettaglio)
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