Una dinastia così italiana

I Farnese divisi tra i palazzi di Parma, Piacenza, Roma e Caprarola

Palazzo della Pilotta a Parma
Andrea Merlotti |

Fra le mostre che la pandemia ha costretto a rimandare una delle più interessanti è certo «I Farnese. Architettura, arte, potere». L’esposizione era stata pensata come uno degli eventi più importanti nell’ambito di Parma Capitale della Cultura 2020 e avrebbe dovuto svolgersi negli spazi del Complesso della Pilotta.

L’obiettivo della mostra è ambizioso: ricostruire l’utilizzo delle arti da parte dei Farnese nel processo di costruzione di un’identità dinastica. Per comprendere i giusti termini della questione bisogna ricordare che nell’Europa cinque-seicentesca pressoché tutte le dinastie erano di origine germanica e consideravano l’antichità la loro principale fonte di legittimazione.

Solo in Italia poteva accadere che famiglie appartenenti sino a pochi decenni prima alla piccola nobiltà, se non alla borghesia, divenissero dinastie sovrane. Era la storia dei Della Rovere, dei Medici, dei Cybo, per poco non lo era stata anche dei Borgia, e lo fu, appunto, dei Farnese. Una specificità italiana che nasceva dalla presenza del papato. Solo il papa, oltre all’imperatore, poteva infatti creare dal nulla degli Stati e infeudarli a suoi parenti. Quando Paolo III creò il Ducato di Parma e Piacenza, il cardinale Ercole Gonzaga commentò che a un principe d’Este pareva «una strana cosa il veder fare un duca di due simili città in una notte, come nasce un fungo».

In effetti i Farnese sono un esempio perfetto di quelle case italiane (sarebbe forse più opportuno dire «all’italiana») che fra XV e XVI secolo entrarono negli stretti ranghi delle dinastie sovrane europee. All’inizio del Seicento il peso di Medici e Farnese, anzi, era tale che per i ben più antichi Savoia era fondamentale distinguersi dal «mazzo degli altri principi d’Italia», come scriveva Carlo Emanuele I.

Provenienti dai ranghi della piccola nobiltà militare dell’Italia centrale i Farnese costruirono il loro potere a Roma. Questo spiega perché il palazzo cui il loro nome è ancor oggi maggiormente legato sia nella capitale pontificia e non nelle città dove esercitarono la propria sovranità. Nonostante abbiano fatto costruire imponenti palazzi ducali sia a Parma sia a Piacenza, il Palazzo Farnese di Roma e la Villa di Caprarola restano ancora il simbolo principale della loro gloria.

In questi, e non nei palazzi del loro piccolo Stato emiliano, si trovano quei grandi cicli di pitture di storia che furono forse il loro maggior contributo alla cultura delle corti. Non potendo far scrivere opere su una storia che o non avevano o era ben più misera di quella che avrebbero voluto vantare, affidarono ai migliori pittori dell’epoca il compito di cantare la gloria del loro presente. Con tali opere i Farnese (e i Medici) esprimevano una via alla legittimità dinastica differente da quella allora propria alle altre dinastie europee. Insomma, i Farnese ebbero un ruolo centrante nell’elaborazione tutta italiana di un moderno codice di legittimazione dinastico, che in breve influenzò l’intera Europa.

Non fosse che per questo, la breve storia dinastica dei Farnese (circa due secoli, dal 1537 al 1731) riveste un’importanza tale da spiegare l’ampio numero di studi che le sono stati dedicati e da indurre a sperare, infine, che la mostra all’origine di queste righe veda la luce, se non in questo stesso 2021, almeno nel prossimo anno.

© Riproduzione riservata Palazzo Farnese a Roma
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