CONTINENTE ITALIA | La mappa di Bruno Corà

Collezionisti, critici, curatori, direttori di museo ridefiniscono i confini di un paesaggio molto più vasto di quello spesso soffocato da alcuni meccanismi del sistema dell’arte | 23

Bruno Corà
Bruno Corà |

Nell'infanzia e nell'adolescenza, Antonino Bove (Borgetto, Pa, 1945) per l'attività paterna è indotto a cambiare città di residenza, frequentando a lungo a Napoli, trasferendosi a Livorno e infine dal 1972 a Viareggio. Compiuti gli studi d'arte presso l'Istituto di Porta Romana a Firenze e successivamente presso l'Accademia di Belle Arti della stessa città alla scuola di Pittura di Primo Conti si diploma e inizia dalla metà degli anni Sessanta sia l'attività artistica che l'attività di docente presso licei artistici  e istituti d'arte.

Nel 1973, convinto che i sogni rappresentino un'espansione conoscitiva fonda la Società degli Onironauti e il Laboratorio per la visualizzazione dei sogni elaborando, dopo lunga concentrazione, la teoria della «fisicizzazione dei sogni». Dal'83 apre la sua azione e le sue ricerche verso l'ambiente artistico. Sviluppa altresì numerose intuizioni che, di fase in fase, mediante la considerazione dei raggiungimenti della biotecnologia, lo conducono alla convinzione che l'arte e la scienza debbano insieme infrangere il cerchio biologico vita-morte, aumentare l'attuale capacità di memoria dell'uomo di dieci alla quattordicesima di neuroni e prolungare le aspettative di vita per giungere, nel futuro, all'obiettivo oggi ancora utopico dell'immortalità fisica, in ciò sviluppando le premesse enunciate da  Gino De Dominicis.

Nell'ultimo decennio, a pieno titolo come esponente di un post-umanesimo esercitato con numerose performance pubbliche, mostre e pubblicazioni, è giunto alla concezione di opere «cerebralizzate» e a una creatura poetico-utopico-immaginaria, Acronos, dispensatrice di una «formula dell'immortalità» capace di porre argine all'entropia umana e universale.

Di lui si sono occupati tra gli altri Gillo Dorfles, Alessandro Vezzosi, Francesco Conz, Claudio Costa e i galleristi Paola Raffo e Claudio Poleschi. È in preparazione presso l'Editore Forma di Firenze una monografia a lui dedicata a cura dello scrivente.

Dopo gli studi liceali Franco Rasma (Borgomanero, No, 1943) si laurea in Scienze Matematiche, predisposto e invitato a conseguire una prestigiosa carriera in ambito tecnico e scientifica negli Usa, a cui rinuncia per dedicarsi interamente alla pittura.
Se durante gli anni Settanta la sua innata abilità lo orienta inizialmente verso un linguaggio pittorico di virtuosismo mimetico, tale da potersi annoverare entro la cifra iperrealista, dopo una lunga meditata svolta inizia a concepire una pittura da taluno ritenuta neoromantica (per intendersi, identificata in Füssli e Blake) la cui figuratività è, in realtà, fortemente determinata dall'antinomia incombente di luoghi e situazioni oniriche dominate dal rapporto tra penombre, ombre e chiarori luminosi.

Sotto il segno della celebre espressione goethiana «Mehr Licht» («Più luce»!), tutta la sua produzione pittorica  visionaria, dalla fine degli anni Ottanta sino a oggi, è pervasa da arcane atmosfere enigmatiche che dal crepuscolo s'inoltrano nella notte. Le immagini portano in evidenza situazioni, luoghi e figure che bucano il tempo e lo divaricano in senso metafisico, ponendo lo sguardo dell'osservatore di fonte ai pensieri ultimi, ai paradossi di improbabili epifanie, già tuttavia vive nell'immaginario.

Dopo un'infanzia trascorsa a Venezia, Giovanni Rizzoli (1963), ancora adolescente, è inviato dalla famiglia per gli studi superiori a frequentare lo Stanstead College in Quebec (Canada) e successivamente all'École Nouvelle de Chailly a Losanna (Svizzera). Continua poi la sua preparazione a Londra e nel 1988 si trasferisce per un biennio a New York, dove opera artisticamente stringendo un sodalizio di amicizia con Louise Bourgeois a altri artisti residenti in quella città. Dopo il rientro in Italia, nel 1991 si laurea in Storia dell'arte all'Università Ca' Foscari di Venezia.

Il lavoro di Rizzoli si distingue a partire dalla metà degli anni Ottanta per una permanente vocazione poetica, tuttora esercitata nella scrittura e trasposta in scultura e pittura sotto il segno dell'elegia, del pathos e dello stupore permanente per l'enigma dell'esistenza umana nell'universo. Rilevante nella sua articolata produzione artistica è l'invenzione di alcune modalità che introducono una concezione del fare pittura che si astiene dai gesti tradizionali del dipingere, favorendo piuttosto l'hasard di una erogazione del colore con una temporalità dilatata e come se fosse la pittura stessa ad autodeterminarsi attraverso l'impiego di flebo.

Analogamente, nell'azione plastica trasforma  nature o «cose» (zucche, vasi provvisori, astucci di violini ecc.) in fusioni di acciaio o bronzo, caricandoli di una immaginaria mitografia e segretezza. Di lui si sono occupati Harald Szeemann (Biennale di Venezia 1999), Werner Mayer, Jan Hoet, Bruno Corà (Biennale di Carrara, 2006 e Quadriennale di Roma, 2008) e Tommaso Trini.

L'autore è critico d'arte e accademico italiano

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Una mappa dell'arte italiana nel 2021

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