Cosa succederà nei musei quando torneranno i visitatori?

In Gran Bretagna le istituzioni potrebbero scoprire di essere state miopi nel lasciare a casa i propri dipendenti

Manifestanti davanti alla Tate Modern di Londra
Bendor Grosvenor |

La famigerata DaD (didattica a distanza) è ricominciata, e scrivo questo articolo condividendo la scrivania con mia figlia, mentre ci riuniamo intorno al wifi per un altro giorno di lezioni su Teams. Siamo entrambi sorprendentemente produttivi; mia figlia fa il suo lavoro diligentemente e il suo esempio mi provoca una certa vergogna per il mio incedere sui social media. Qualcuno di noi sarebbe stato in grado di andare in lockdown senza internet?

Certo questo mi ha ovviamente permesso di continuare a lavorare ma, dopo quasi un anno, sento che sto raggiungendo il limite di quanto possa essere efficace uno storico dell'arte senza vedere effettivamente alcunché dal vivo. Con le foto in digitale ed i database online sono abbastanza bravo sugli aspetti «chi ha dipinto cosa e quando». Ma quando si tratta del «perché» devo essere in presenza dell'opera. Composizione, scala e illuminazione hanno senso solo quando ti trovi di fronte a un'opera d'arte.

Sono mesi che non mi avvicino ad un capolavoro. Ma almeno posso lavorare da casa. Ho sentito che alcuni addetti del personale di musei a Londra sono stati obbligati ad entrare a lavorare anche quando si sentivano in oggettivo pericolo nel farlo. Il problema sembra essere una mancanza di flessibilità nel modo in cui opera il programma di sostegno al lavoro del governo: il dipartimento della cultura ha detto ai musei che il lavoro da remoto di molti addetti non porta un reale valore aggiunto ai musei.

Al contempo, in un periodo in cui si vive ancora una impennata delle infezioni, il governo insiste che tutti rimangano a casa. Questo approccio sembra fuorviante e, direi, anche pericoloso per l’occupazione.

All'inizio della pandemia, la brusca chiusura dei musei in Gran Bretagna è stata spiegata con la necessità di proteggere il personale. I direttori dei musei hanno giustamente dichiarato che, nonostante l'importanza delle loro collezioni, ciò che contava era la salute delle persone che vi lavoravano. Quasi un anno dopo, tuttavia, il comportamento di alcune organizzazioni ha rivelato ciò che conta davvero: il risultato finale. Le persone per le quali questo assioma è massimamente ovvio sono, ahimè, quelle che hanno perso il lavoro.

Il National Trust sta licenziando più di 700 dipendenti, mentre la Tate vuole eliminare più di 400 posti di lavoro. Per quanto posso vedere, queste perdite saranno quasi interamente tra i posti meno retribuiti: il personale più anziano, come sempre, è al sicuro. In alcuni casi, come in quello del National Trust, il processo è stato gestito con brutale insensibilità. Ma queste organizzazioni hanno calcolato quanto e come la pandemia le colpirà a lungo termine?

Nessuno può negare le ripercussioni finanziarie nel breve; ma con i vaccini in fase di implementazione e una prospettiva realistica di un ritorno alla normalità all'orizzonte, c'è forse spazio per una prospettiva più fiduciosa. Potrebbe benissimo esserci un rimbalzo economico, per esempio. Quelle organizzazioni che, come il National Trust, hanno pianificato due o tre anni di grandi impatti economici e che hanno rifiutato di accettare che il programma di sostegno al lavoro potesse essere ulteriormente esteso, potrebbero avere reagito in modo persino eccessivo.

Quando è iniziata la pandemia ero invidioso del personale del museo che avrebbe potuto trascorrere del tempo da solo con la propria collezione, indisturbato e lontano dalla canonica folla. Ma oggi posso dire che non tornerò in un museo finché non saranno completamente riaperti. La grande arte è meglio se condivisa. È stato incoraggiante sentire quanto ai curatori siano mancati i loro visitatori.

Qualcuno mi dice che curare in isolamento è come lavorare «nella semioscurità; non impossibile e non del tutto improduttivo, ma decisamente silenzioso e solitario». Il punto è che non vediamo l'ora di rivisitare i musei, e questi potrebbero ancora aver bisogno di tutto il personale che oggi vogliono licenziare.

© Riproduzione riservata
Altri articoli di Bendor Grosvenor