Visita virtuale per vedere il Polittico Griffoni

Il progetto di riunificare in un unico luogo il grande capolavoro disperso trova una nuova fruibilità

Valeria Tassinari |  | BOLOGNA

La mostra «La riscoperta di un capolavoro. Il Polittico Griffoni» (già allestita a Palazzo Fava a Bologna e sospesa per l’emergenza da Covid-19 nel marzo scorso a un soffio dall’inaugurazione, poi finalmente aperta dalla tarda primavera, giusto in tempo per affascinare il pubblico estivo, e ora di nuovo chiusa) lancia un importante segnale di vitalità. Dal 4 dicembre, infatti, lo spazio espositivo torna visibile e visitabile grazie alla formula del virtual tour, una proposta attentamente curata sul piano della qualità tecnologica e dei contenuti che, oltre a una suggestiva ambientazione, offrono approfondimenti tematici e riprese molto ravvicinate.

Fortemente voluto da Fabio Roversi Monaco, presidente e anima di Genus Bononiae, il progetto di riunificare in un unico luogo il grande capolavoro disperso trova, dunque, una nuova e differente fruibilità. Una modalità che, per certi versi, può rivelarsi una risorsa interessante, sul piano economico ma anche divulgativo, grazie alla possibilità di acquistare on line un biglietto a cinque euro, semplice da utilizzare anche come inedito regalo natalizio.

Una predestinazione alla resilienza che diviene la chiave per leggere l’epico racconto di uno strano «ritorno a casa» nel mistico ritrovarsi di un gruppo di figure di santi, allontanati dalla storia e, dopo quasi 300 anni, riuniti in uno spazio che ora è fisico e virtuale al tempo stesso.

Si tratta, in effetti, di un’iniziativa che segna un momento epocale nella storia e negli studi su un’opera ritenuta fondamentale per comprendere la qualità, erudita e sperimentale, del Quattrocento emiliano. Il Polittico Griffoni, commissionato alla fine del ’400 dai membri di un’eminente famiglia bolognese, i cui volti sono rivelati nelle effigi di san Floriano e santa Lucia, è il frutto della stretta collaborazione tra due artisti ferraresi dall’espressività potente e raffinata, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti, che avevano operato alla corte estense.

Un’opera ben raccontata dalle fonti storiche prima della dispersione, ora di nuovo esposta poco lontano dalla Basilica di San Petronio e dalla cappella gentilizia da cui fu allontanata nel 1725. Rimossi dalla cornice originale (ora perduta), che in origine li univa in una grande architettura di aureo splendore, trasformati in singoli quadri da stanza dal prelato Pompeo Aldrovandi, poi separati dal destino e a lungo in viaggio in preda alle correnti del mercato antiquario internazionale, i 16 pannelli superstiti sono infine approdati in 9 musei, tra i quali la National Gallery di Londra, il Louvre di Parigi e i Musei Vaticani, che li custodiscono (e che hanno prorogato i prestiti, Ndr).

«L’intreccio di interessi scientifici e relazioni umane che ha permesso di realizzare questa mostra è stato delicato e avvincente, ricorda il curatore Mauro Natale, perché non va dimenticato che dietro questo allestimento c’è un lavoro di oltre due anni, che ha coinvolto una comunità di direttori di musei ed esperti i quali, non senza qualche comprensibile tentennamento, hanno finalmente acconsentito al prestito, riconoscendo il valore dell’iniziativa e considerandola una grande opportunità per la divulgazione, ma soprattutto per l’analisi e persino per l’auspicabile ritrovamento delle parti ancora mancanti».

Anche a questo, in fondo, servono le occasioni espositive, che riaccendono i riflettori su questioni ancora aperte. «La mancanza di una parte dei piccoli santi che in origine decoravano i pilastri laterali su entrambi i registri del polittico non compromette la leggibilità complessiva dell’opera, spiega Cecilia Cavalca, curatrice e da tempo impegnata nello studio dell’ipotesi ricostruttiva, ma la mancanza di alcuni elementi riporta l’attenzione sull’importanza della relazione tra l’insieme e le parti, offrendo la possibilità di riflettere sulla complessità semantica della sofistica macchina d’altare. Solo se si riesce a restituire un’attendibile relazione tra i diversi elementi che in origine componevano l’ancona si può infatti sperare di recuperare il significato espressivo più profondo dell’opera».

Il dispositivo della collocazione delle figure, studiato a partire dalla fine dell’800 da storici dell’arte di rilievo, fu quasi perfettamente messo a punto tra gli anni ’30 e ’40 del ’900 da Roberto Longhi in pagine memorabili della sua Officina Ferrarese, come viene testimoniato in mostra, anche attraverso la presentazione di materiali di lavoro, inediti, utilizzati dallo studioso per metterla a punto.

Oggi, grazie allo studio dei dipinti che componevano l’insieme con l’ausilio della strumentazione diagnostica e della riconsiderazione della foggia dell’ancona (testimoniata da un disegno settecentesco) con l’ausilio di programmi di grafica digitale è stato possibile perfezionare la proposta longhiana, e proporla nel contesto di una più ampia rilettura del ’400 a Bologna, un secolo il cui splendore ha lasciato tracce rilevanti ma discontinue, soprattutto per le numerose dispersioni e perdite subite dal patrimonio storico artistico dell’età dei Bentivoglio.

Alla raffinatezza della città bentivogliesca, dunque, ci riporta felicemente questa esposizione, che si propone come occasione di studio e contemplazione dei singoli elementi, esposti ad altezza di sguardo, per consentire al pubblico di apprezzarne i dettagli che rivelano la mirabile complessità culturale del Rinascimento emiliano. Una mostra volutamente concentrata e filologica, dove a incantare è la rara qualità degli originali, con l’unica concessione alla spettacolarizzazione offerta dalla perfetta copia del polittico realizzata dalla Factum Foundation di Adam Lowe, che utilizza le più avanzate tecnologie di scansione e riproduzione in 3D di grandi opere del passato per farle rivivere.

Accompagna la mostra una pubblicazione (Silvana Editoriale) che, attraverso i contributi dei curatori e di diversi studiosi, indaga ad ampio raggio il contesto, la committenza, la vicenda dello smembramento e della dispersione, fino alla lettura longhiana dell’opera, proponendo un accurato riesame della sua vicenda storica e filologica. Impreziosisce il volume un’ampia ricognizione documentaria e iconografica e ora con il catalogo il virtual tour è in omaggio, motivo in più per regalarsi e regalare un viaggio, ideale per sguardi inquieti e raffinati.

© Riproduzione riservata «Santa Lucia», di Francesco del Cossa, Washington, National Gallery of Art (particolare) Uno dei pannelli raffiguranti le storie di San Vincenzo Ferrer e facenti parte del polittico Griffoni (particolare), di Ercole de Roberti. Foto tratta da Wikipedia
Altri articoli di Valeria Tassinari