Al Davia Bargellini la dolce vita veneziana

Una rievocazione del fastoso Settecento della Serenissima

Abito veneziano in seta di Lione della metà XVIII secolo, Venezia, Museo di Palazzo Mocenigo (Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume). Foto Roberto Serra © Istituzione Musei Civici di Bologna
Giovanni Pellinghelli del Monticello |  | Bologna

È aperta fino al 12 settembre, a celebrare il centenario del Museo Davia Bargellini, voluto nel 1920 da Francesco Malaguzzi-Valeri come Museo del Settecento bolognese, la mostra «Le Plaisir de Vivre. Arte e moda del Settecento veneziano dalla Fondazione Musei Civici di Venezia», a cura di Mark Gregory D’Apuzzo e Massimo Medica in collaborazione col Museo di Palazzo Mocenigo, Venezia, in cui il Settecento bolognese, vissuto nel ricco quotidiano nobiliare e senatorio del palazzo di Strada Maggiore a Bologna, dialoga col Settecento di Venezia, sfarzoso per antonomasia.

L’idea di rievocare quel «fastoso Settecento», con il suo corredo di mobili e oggetti di lusso legati alle abitudini di vita di dame e gentiluomini concentrati nei rituali sublimi della mondanità dell’Ancien Regime, aveva infatti guidato Malaguzzi Valeri nella creazione del Museo, a partire dal Salone delle Feste in cui questa mostra, applicando proprio quel concetto principe dell’«ambientazione», propone quadri (di Pietro e Alessandro Longhi e scuola) e mobili (le tre rare console della bottega veneziana di Lucio Lucci arrivate a Bologna all’inizio del 1699 per il senatore Vincenzo Bargellini, dal piano in ebano intarsiato in madreperla e argento e piedi intagliati e dorati a congiungersi nella grande conchiglia centrale, elemento decorativo tipico del più sontuoso Barocco, o la «lumiera» dal profilo flessuoso, d’epoca Rococò come il piccolo cassettone dorato con maniglie arricciate a riprendere anche qui la conchiglia che anima l’ornato dei cassetti).

In mostra anche objet d’art veneziani d’eccellenza (con speciale rilievo ai vetri, anteprima della recente donazione della Collezione Cappagli Serretti, e ai cristalli «ad uso di Boemia», specialità di Giuseppe Briati, 1686-1772, il vetraio muranese celebre per i suoi monumentali lampadari e centrotavola, detti «deseri» dal francese dessert»), per giungere infine agli abiti opulenti, canto del cigno di un’ostentazione del lusso che fu ultimo baluardo della discendente parabola veneziana. Il tutto a esprimere quella «doucer de vivre» tipica di Venezia e dell’intero Settecento europeo.

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