Due anime in pena

Jawlensky e Soutine a confronto al Kunstmuseum di Basilea

Alexej von Jawlensky, «Testa astratta», 1930 © Kunstmuseum Basel, Martin P. Bühler
Bianca Bozzeda |  | Basilea

Il Kunstmuseum presenta l’esposizione «Jawlensky e Soutine» composta da opere provenienti dalla collezione Im Obersteg, una delle maggiori collezioni private elvetiche. Fino al 10 ottobre, la mostra ripercorre i percorsi di Alexej von Jawlensky (1864-1941) e Chaïm Soutine (1893-1943) mettendone in luce le corrispondenze biografiche ed espressive. Costretti a lasciare i loro paesi d’origine per ragioni sociopolitiche, i due artisti abbandonarono la Russia e la Bielorussia natali per trasferirsi rispettivamente a Monaco di Baviera e a Parigi.

Dopo aver esordito con grande successo nella città bavarese, la carriera di Jawlensky subisce una brusca interruzione a seguito dello scoppio della Prima guerra mondiale. L’esilio dalla Germania lo porta in Svizzera, dove s’installa in un piccolo villaggio di pescatori sulle rive del Lago Lemano. Uniti a dei problemi di salute fisica, la solitudine e l’isolamento vissuti in quegli anni (Jawlensky rifiuta l’offerta di insegnamento presso il Bauhaus) marcheranno definitivamente la sua opera, abitata da ritratti inquieti e inquietanti.

Di trent’anni più giovane, Soutine lascia Minsk per raggiungere Parigi, dove continua a esprimersi principalmente in yiddish. Alla precarietà delle condizioni fisiche si aggiunge quella economica, rimasta pressoché invariata anche dopo gli accordi stretti con il gallerista polacco Léopold Zborowski, che ne rappresenta il lavoro in cambio di una retribuzione mensile minima. Amico di entrambi gli artisti, l’imprenditore e collezionista svizzero Karl im Obersteg fu grande sostenitore della loro opera.

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