Intrigo internazionale

La vicenda di un sarcofago egizio trafugato e venduto al Metropolitan finisce in tribunale

Il sarcofago dorato venduto al Metropolitan Museum di New York nel 2017 per 3,5 milioni di euro. Foto Michael R. Sisak/Ap/Shutterstock
Vincent Noce |  | PARIGI

La Galleria Cybèle ha avviato una causa contro la mercante Nassifa el-Khoury, la casa d’aste Pierre Bergé e il suo consulente Christophe Kunicki, per una stele funeraria egizia sequestrata dal Governo statunitense. L’opera (110 cm, VII-IV secolo a.C.) era stata inviata a Tefaf New York 2019, dove non è mai giunta perché Matthew Bogdanos (capo dell’ufficio che si occupa del traffico illecito di reperti antichi del procuratore distrettuale di New York) l’ha intercettata quale oggetto di una vasta operazione su cui indaga dal 2013.

Con la richiesta di circa 200mila euro per il valore dell’opera e per i danni subiti, la galleria ha anche formalizzato la completa rinuncia a qualsiasi diritto sul manufatto. «Pare che Kunicki abbia intenzionalmente falsificato sul catalogo la provenienza dell’opera», si legge nei documenti della galleria, sostenendo che apparteneva a Simon Simonian, collezionista tedesco residente in California, il quale l’aveva acquistata nel 1970 al Cairo e, stando a quanto egli stesso asserisce, affidata a El-Khoury.

Secondo Bogdanos si tratta di una provenienza falsa in modo «evidente, dimostrabile e criminale», visto che Kunicki l’ha sostenuta anche per un sarcofago dorato venduto al Metropolitan Museum di New York nel 2017 per 3,5 milioni di euro (poi restituito all’Egitto).

La vicenda è ulteriormente sospetta poiché il figlio di El-Khoury, Roben Dib, gestisce ad Amburgo una galleria di proprietà del fratello di Simonian. Grazie a centinaia di foto, e-mail e messaggi analizzati da Bogdanos, è emerso che il commercio illegale di molte opere passava da Dubai per giungere in Germania, dove queste venivano restaurate, «ripulite» e immesse sul mercato con dati su provenienza e proprietà falsificati.

Kunicki non ha voluto rilasciare dichiarazioni a «Il Giornale dell’Arte», mentre Dib e i Simonian professano la propria innocenza portando come prove licenze di esportazione, che però le autorità egiziane non hanno riconosciuto valide, e si preparano a difendersi nel processo che si terrà a Parigi. Il Met ha fatto sapere che farà valere i propri diritti contro chiunque abbia tentato di ingannare il museo, mentre la casa d’aste Bergé ha assicurato piena collaborazione con le autorità investigative.

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