Mario Torelli protagonista dell’antichistica italiana

L’etruscologo Giuseppe Maria della Fina ripercorre mezzo secolo di studi e di carriera del grande archeologo recentemente scomparso

Mario Torelli
Giuseppe Maria Della Fina |  | PALERMO

«Ripercorrendo cinquant’anni di studi e di carriera, due cose mi appaiono fondamentali nella vita e nel lavoro di un archeologo: i maestri e la fortuna»: così scriveva Mario Torelli in un documento redatto in occasione del conferimento del Premio Balzan per l’Archeologia classica nel 2014. Nel ricordare il professore, a poche settimane dalla scomparsa (avvenuta a Palermo, il 15 settembre), può essere utile seguire il filo della sua vita seguendo il suggerimento interpretativo che ha dato.

Tra i suoi maestri spicca Ranuccio Bianchi Bandinelli incontrato nel 1957, con cui ebbe una vicinanza intellettuale, personale e politica che rinvia subito alla fondazione e alla crescita della rivista «Dialoghi di Archeologia» (1967-92), e al successivo impegno nel gruppo di antichisti che gravitava intorno all’Istituto Gramsci. Lo stesso Torelli ha ricordato, in più occasioni, quel maestro come un modello di riferimento osservando che, anche per lui, «vita politica e vita culturale, professione di archeologo e intellettuale engagé sono stati per oltre tre decenni una cosa sola».

Tra i maestri va ricordato quindi Attilio Degrassi, di cui seguì i seminari di Epigrafia latina tenuti nell’abitazione dell’anziano studioso (1961-63): un particolare che sembra rinviare a un’altra epoca. Di quest’ultimo ha ricordato la nascita in una Trieste ancora austro-ungarica, gli studi presso l’Università di Vienna e il suo essere stato allievo di Eugen Bormann, uno dei migliori collaboratori di Theodor Mommsen. A quella scuola di Epigrafia teneva evidentemente a riallacciarsi.

C’è stato poi il rapporto complesso con Massimo Pallottino, il maggiore etruscologo del Novecento, con il quale si laureò nel 1960 presso l’Università degli Studi di Roma con una tesi sull’antica città di Falerii. Uno studio che gli consentì di vincere, nel 1963, il concorso di ispettore archeologo presso l’allora Soprintendenza alle Antichità dell’Etruria Meridionale dove lavorò sino al 1969. Furono anni intensi di attività sul campo e di riflessione sulla gestione dei beni culturali italiani: un interesse e un impegno che lo hanno accompagnato per tutta la vita.

Nel 1969 venne nominato professore aggregato di Archeologia e Storia dell’Arte greca e romana nell’Università degli Studi di Cagliari. Nel 1975 si trasferì all’Università degli Studi di Perugia dove, divenuto professore ordinario nel 1976, si è svolta principalmente la sua attività d’insegnamento e dove ha diretto l’Istituto di Archeologia (1976-87) e l’Istituto di Studi Comparati sulle Società Antiche (1994-97). Sempre presso l’Ateneo perugino ha coordinato la Sezione per gli Studi Comparati sulle Società antiche e presieduto il Centro di eccellenza per la Diagnostica dei Beni culturali. Nel frattempo è stato visiting professor in diverse Università europee e statunitensi. Accademico dei Lincei, ha preso parte all’attività di prestigiosi Istituti culturali italiani e stranieri.

Anni fa, in un passaggio non facile della mia carriera, mi disse: «Non è la cattedra che fa il professore, ma il professore che fa la cattedra». Nel nostro ultimo colloquio telefonico gli ho ricordato quella sua osservazione: mi ha rivelato che era stata pronunciata da Ranuccio Bianchi Bandinelli, una sera che lo aveva invitato a cena, mentre si accingeva a iniziare la sua vita accademica.

Quanto alla fortuna che serve nella vita e nel lavoro di un archeologo, ritengo che si riferisse soprattutto alle scoperte che può capitare o meno di fare. Torelli, in effetti, ne ha fatte numerose: mi limito a ricordare le indagini portate avanti nel santuario di Gravisca, nell’antico porto di Tarquinia, che hanno consentito d’impostare su basi nuove i rapporti tra Etruschi e Greci restituendo a pieno l’immagine di un Mediterraneo dove le culture interagivano.

Ho accennato al suo impegno in difesa dei beni culturali e, accanto a questo, voglio ricordare la sua attività di organizzatore di esposizioni. Ne rammento due, in particolare: «Gli Etruschi» a Palazzo Grassi di Venezia (novembre 2000-luglio 2001) ed «Etruschi. Le antiche metropoli del Lazio» al Palazzo delle Esposizioni di Roma (ottobre 2008-gennaio 2009). Né si deve dimenticare che aveva in preparazione una grande mostra su Pompei e Roma.

C’è poi da richiamare la sua attività editoriale che spazia dal mondo etrusco, a quello greco e romano: vanno segnalati almeno tre libri di sintesi che hanno avuto numerose edizioni: Storia degli Etruschi (1981), L’arte degli Etruschi (1985), Dei e artigiani. Archeologia delle colonie greche d’Occidente (2011), tutti pubblicati da Laterza; e due raccolte di contributi: Significare. Scritti vari di ermeneutica archeologica (2012) e Opuscola etrusca (2019), che offrono uno spaccato esauriente dei suoi interessi.

Con Mario Torelli è scomparso uno dei protagonisti maggiori di una stagione straordinaria dell’Antichistica italiana, che si sta chiudendo e di cui le caratteristiche principali erano la ricerca di una visione d’insieme del mondo antico e la volontà d’interagire con il presente.

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