Luca Giordano a Capodimonte | L'idea della mostra

Il curatore Stefano Causa descrive la versione napoletana dell'esposizione presentata a Parigi nel 2019

«Il sogno di Giacobbe», di Luca Giordano. Napoli, Museo di Capodimonte
Arabella Cifani |  | NAPOLI

La Pinacoteca Nazionale di Capodimonte si distingue ormai da anni per il vasto respiro europeo delle sue iniziative. Molto si deve a Sylvain Bellenger, che dal 2016 guida con sapienza il Museo. L’8 ottobre s’inaugura, finalmente dal vivo, la molto attesa «Luca Giordano. Dalla Natura alla Pittura», curata da Stefano Causa e Patrizia Piscitello. L’evento ha avuto una lunga gestazione e un prologo al Petit Palais di Parigi, anche per merito del direttore Christophe Leribault. Delle peculiarità della mostra ci parla il curatore Stefano Causa, uno dei massimi esperti mondiali di pittura napoletana, docente di Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.

Professore, ci narra la storia di questo «Luca Giordano»?
L’idea della mostra risale al gennaio del 2018 e spetta a Sylvain Bellenger, direttore di Capodimonte, che ha saputo far rifiorire gli interessi su questo splendido museo, e sull’arte napoletana, da punti di vista non scontati. Ma la singolarità è stata quella di far partire l’esposizione da Parigi, gemellandola con la mostra su Vincenzo Gemito, anch’essa iniziata a Parigi e da poco approdata a Capodimonte. Anche per questo, un poco inopinatamente, alla fine dello scorso anno, prima dell’epoca delle mascherine, si apriva una finestra napoletana al Petit Palais. Al secondo piano le favole iperbarocche di Giordano, che sembrano il corrispettivo dei sonetti e delle canzoni di Góngora; al primo quel grande fatto di Caravaggismo moderno che è la scultura di Gemito. L’ultima mostra su Giordano in Italia risale a venti anni or sono a Castel Sant’Elmo. Era il 2001: sembra passato un secolo o quasi.

La mostra al Petit Palais di Parigi, scampata quasi del tutto al lockdown è stata un grande successo. Ma i francesi come hanno reagito davanti a Giordano?
Giordano è l’epitome dell’uomo barocco e i francesi non sono così sensibili a queste corde. Persino Bernini nel suo viaggio di Parigi rischiò quasi di rimanere disoccupato. Però è vero che, come il jazz è decollato in America per rifiorire in Francia; allo stesso modo Giordano, che il Settecento napoletano e anche l’Ottocento hanno virtualmente liquidato, è stato reinventato dai pittori francesi del XVIII secolo fino al giovane David. Persino l’Ottocento francese, da Géricault a Delacroix, ha guardato con interesse a Giordano, per quanto, spesso e volentieri, confondendolo con Ribera. D’altra parte nessuno ha mai affrontato in maniera sistematica l’influsso della cultura napoletana sull’arte francese moderna. Maurice Denis rimase colpito dai blu Giordano a Napoli. Sappiamo che Cézanne amava Mattia Preti; ma un Cézanne innamorato di Giordano è una scommessa su cui punterei volentieri.

Rispetto a Parigi la versione di Capodimonte presenta delle varianti?
Sì, innanzitutto è ridotta di volumi, ma è allargata a tutto il percorso di Giordano in Napoli, con una parte multimediale e la possibilità di vedere poi direttamente in loco, innanzitutto nelle chiese, affreschi e opere del maestro. La mostra di Giordano è Napoli. Vi sono poi esposti quadri mai visti anche di Ribera, suo maestro putativo insieme a Lanfranco e opere restaurate per l’occasione come «Il Buon Samaritano». Vedremo come reagirà il pubblico: certo Giordano, uno dei pittori più comunicativi del mondo, è diventato paradossalmente un pittore per storici d’arte e restauratori. Mentre Caravaggio va dalla Pittura alla Natura, Giordano fa il percorso inverso: va dalla Natura per guadagnare una cosa che gli interessa mille volte di più, cioè la Pittura. La pittura con la p maiuscola. Oggi viviamo l’Età del Caravaggio come, un secolo fa, si viveva quella di Leonardo. Forse è presto per immaginare un’Età di Giordano. In ogni caso si tratta di uno dei grandi sconosciuti della storia dell’arte moderna.

In questi tempi non deve essere stato facile montare una mostra di questo livello.
Dobbiamo tutto alla dottoressa Patrizia Piscitello cocuratrice dell’esposizione, storica dell’arte di primissimo rango e registrar presso il Museo, ovvero capo dell’Ufficio mostre, addetta a tutte le problematiche e agli inconvenienti dei prestiti e della burocrazia nazionale e internazionale. Il suo mestiere, complesso, raro e difficile, è anche una via di lavoro possibile per i giovani che in futuro vorranno occuparsi di arte.

Ma chi è Giordano in realtà?
Luca Giordano è probabilmente il pittore più documentato che esista. Purtroppo la sua vicenda non ha nulla a che fare con quel «maledettismo» che ha reso un sociopatico come Caravaggio una sorta di brand. Giordano, invece, è uomo socialmente allineato, padre di famiglia, religioso. E, soprattutto: capace di far soldi e farli fare. Con Giordano la professione dell’artista entra nei meccanismi del capitalismo premoderno. Uno spoglio anche sommario dei documenti e delle transazioni che lo riguardano costituisce un fossile della vita economica della Napoli spagnola. E diamine se era scaltro! A trent’anni, sbaragliata tutto la concorrenza locale, sfonda su mercati competitivi come quello veneziano o fiorentino. D’altronde è meglio non far sapere a molti che il capolavoro della pittura barocca meridionale, i murali di Palazzo Medici Riccardi a Firenze, si trova nella città meno barocca dell’universo.

Lei ha dedicato anni di studi alla pittura napoletana e l’anno prossimo curerà per Capodimonte la prima mostra monografica su Battistello Caracciolo. Che cosa l’attrae di Giordano?
Giordano è una specie di Picasso seicentesco, di proteo della pittura. Gli spagnoli rimasero colpiti dal fatto che dipingesse con le dita. Il virtuosismo un poco fieristico fa sempre leva sul pubblico. Solo che quello di dipingere con le mani è una faccenda che risale almeno a Tiziano, come sappiamo dalle fonti. E in realtà l’assimilazione di Giordano a Tiziano è uno dei grandi luoghi comuni della trattatistica tardobarocca non solo spagnola. D’altronde Goya sarebbe impensabile senza Giordano.

Scopriremo dunque una forza della natura?
Sì, certamente e lo scopo dichiarato di tutti quelli che vi hanno partecipato è stato quello di offrire ai visitatori una mostra piacevole che donasse felicità e serenità, che permettesse di fare un racconto di storia dell’arte nel quale ritrovarsi, comprendere, gratificarsi, consolarsi.

La mostra sarà accompagnata da un catalogo, edito da Electa, con collaborazioni di altissimo livello, anche sul piano filosofico, come quello di Biagio de Giovanni; sui rapporti fra la ceramica della famiglia dei Grue e la pittura giordanesca analizzati da Lucia Arbace; sulla storia della museizzazione di opere già in chiese napoletane e ora a Capodimonte, seguita da Patrizia Piscitello e Alessandra Rullo.

© Riproduzione riservata «Madonna del Rosario (o del Baldacchino)», 1686 ca, di Luca Giordano. Olio su tela, 430x240 cm, Napoli, Museo di Capodimonte «Galatea e Polifemo», 1675 ca, di Luca Giordano. Olio su tavola. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte, collezione d’Avalos «San Francesco Saverio battezza gli Indiani», di Luca Giordano. Dall’altar maggiore della chiesa di San Francesco Saverio, ora al Museo di Capodimonte «Tarquinio e Lucrezia», 1663, di Luca Giordano. Olio su tela. Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte, collezione d’Avalos «Madonna del Rosario», 1657, di Luca Giordano. Olio su tela. Proveniente da Napoli, chiesa della Solitaria (distrutta). Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte «Elemosina di san Tommaso da Villanova», 1658 (particolare). Olio su tela. Proveniente da Napoli, chiesa di Santa Maria della Verità (detta anche Sant’Agostino degli Scalzi). In consegna cautelativa a Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte (dal 1980) «Il Buon Samaritano», 1655-57, dopo il restauro. Olio su tela, 139,7x195,6 cm. Napoli, Museo di Capodimonte
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