Enrico Tantucci
Leggi i suoi articoliSi tratta di un piccolo dipinto su tavola, di pregevole fattura, raffigurante la Madonna col Bambino, san Giovannino e sei sante, di cui è quasi concluso il restauro presentato ieri nel Salone da ballo del Museo Correr dal direttore del museo Andrea Bellieni, artefice della scoperta, e dalla restauratrice Milena Dean, insieme alla presidente della Fondazione Musei Civici, Maria Cristina Gribaudi e al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. Il dipinto, incompiuto, si presentava in pessime condizioni di conservazione ma Bellieni aveva intuito che si trattava di un’opera importante e, dopo la pulitura e il restauro durato circa due anni e ormai quasi concluso, è emersa la possibile attribuzione mantegnesca, lasciando ora stabilire alla critica se sia davvero Mantegna l’autore o solamente il suo ideatore, affidandone poi la realizzazione a qualche artista della sua bottega.
La tavola, risalente al 1490 ca e dipinta sul retro con un trompe l’œil a imitazione del marmo, raffigura la Madonna, Gesù Bambino, san Giovanni Battista fanciullo e sei sante, con le figure disposte a semicerchio, con rocce, un largo fiume, montagne e piccole figure che si stagliano sullo sfondo, san Girolamo eremita penitente con il leone, san Cristoforo che guada il fiume con il piccolo Gesù sulle spalle. E, ancora, sulla riva opposta, san Giorgio a cavallo che affronta il drago. A far propendere per l’attribuzione mantegnesca è in particolare un elemento, la scena sacra riscoperta nel dipinto veneziano, già nota alla storia dell’arte in un altra tempera su tavola che nel primo Seicento si trovava a Mantova nelle favolose collezioni dei Gonzaga e che oggi si trova nel Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, anch’essa attribuita a Mantegna, nonostante la critica non sia del tutto concorde sulla paternità del pittore padovano (la firma di Mantegna che vi compare è stata aggiunta successivamente).
Il dipinto di Boston ha un’altezza maggiore rispetto a quello di Venezia, tagliato nella parte superiore, dove compare un arioso cielo, forse proprio perché non finito. Le indagini riflettografiche hanno però rivelato che i due dipinti sono perfettamente sovrapponibili e che per entrambi è stato usato lo stesso cartone, forato sui contorni del disegno per trasferire «a spolvero» i punti guida del tracciato sulle due tavole da dipingere. Sarebbero perciò stati dipinti insieme o a distanza ravvicinata, con qualche minima variante, per due committenze diverse. Per spiegare la storia parallela dei due dipinti, Bellieni ha avanzato alcune ipotesi: il dipinto giunto a Boston, avrebbe fatto parte da subito delle collezioni dei Gonzaga mentre quello veneziano, riscoperto tra la fine del Settecento e il primo Ottocento, e inizialmente attribuito addirittura a Carpaccio, avrebbe fatto parte della ricchissima raccolta d’arte dell’abate e patrizio veneto Teodoro Correr che la donò alla città e da cui nacque l’omonimo museo.
Forse anche quest’ultimo avrebbe fatto parte delle collezioni dei Gonzaga, magari tra le opere trovate e non finite nello studio di Mantegna al momento della sua morte, nel 1506, e cedute poi dai figli alla Signoria mantovana. Il dipinto di Boston, venne venduto nel 1627 dal duca Vincenzo II Gonzaga a re Carlo I d’Inghilterra, per poi passare nelle collezioni dei reali di Spagna e arrivare a fine ’800 ai principi romani Del Drago e infine a Isabella Stewart Gardner. Il dipinto mantegnesco di Venezia potrebbe aver lasciato Mantova insieme agli 800 dipinti, tra cui sicuri originali di Mantegna, portati a Venezia dall’esiliato ultimo duca Ferdinando Carlo, ammassati nel Palazzo oggi Michiel delle Colonne e poi venduti nel 1708 dopo la morte del nobile, per soddisfare i creditori, per arrivare poi nelle mani di Teodoro Correr, probabilmente già tagliato.
Quanto alla composizione pittorica, emerge il fatto che tre delle sei sante raffigurate vestano abiti della moda di fine Quattrocento. Questo ha fatto ipotizzare a Bellieni un collegamento ideale di tre dame della corte gonzaghesca con le sante della tradizione. Si potrebbe trattare in questo caso della diciannovenne marchesa Isabella d’Este e di sua sorella Beatrice (poi sposa di Ludovico il Moro), una nell’atto di leggere e l’altra inginocchiata, e della loro religiosissima madre Eleonora, a destra, inginocchiata a mani giunte. È allora possibile che Isabella, da pochi mesi a Mantova, avesse chiesto al suo pittore di corte Andrea Mantegna due esemplari della stessa composizione con la madre e la sorella, uno per sé stessa e l’altro per una delle altre due sorelle, mentre il dipinto non finito poteva forse essere quello destinato alla madre, morta a Ferrara nell’ottobre del 1493, prima di poterlo ricevere terminato dall’impegnatissimo atelier di Mantegna. Ipotesi da sottoporre ora al vaglio degli storico dell'arte.
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