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Enzo Mari e Lea Vergine

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Enzo Mari e Lea Vergine

Uniti dall'amore e dalla libertà intellettuale

Lea Vergine ed Enzo Mari ci hanno lasciati a un solo giorno di distanza l’uno dall’altra

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Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Il rischio, nel parlare della vicenda dolorosa che, dopo una vita insieme, ha visto Lea Vergine ed Enzo Mari andarsene a un solo giorno di distanza l’uno dall’altra (il 19 ottobre lui, il 20 lei), è di cadere nel patetismo o, peggio ancora, nella sdolcinatezza. Nessuno dei due, infatti, l’avrebbe tollerato. Di Lea Vergine, donna coltissima (ma anche bellissima, elegante e con modi da gran signora) si rammentano spesso i giudizi taglienti, sarcastici, perfino crudeli (ma chi scrive ne ha un ricordo del tutto diverso).

Non tollerava, è vero, banalità, sciattezze, approssimazioni, né nei contenuti né nella forma linguistica (un piacere sentirla parlare, con quell’eloquio forbito ma mai stucchevole), com’è provato tanto dai suoi saggi affilati e ricchi di genio, quanto dalle sue mostre, così innovative da aprire strade inedite, come la sempre citata (perché davvero «storica») «L’altra metà dell’avanguardia 1910-1940», del 1980, in cui per la prima volta si restituiva alle grandi e sino ad allora misconosciute artiste del Novecento il ruolo trainante che avevano avuto, aprendo il filone di ricerca sull’arte femminile, oggi perfino abusato ma allora davvero profetico.

Quanto a lui, Enzo Mari, designer e storico del design, artista e teorico, cinque Compassi d’Oro (l’ultimo nel 2011, alla carriera), ha creato alcuni degli oggetti più severi, essenziali e iconici che si siano visti: come il centrotavola «Putrella», 1958, realizzato con una vera putrella curvata agli estremi, il calendario perpetuo «Formosa», 1963, entrambi per Danese, o la sedia «Soff Soff», 1972, per Driade: un reticolo di anelli d’acciaio e due cuscini, nient’altro. Rigore e «ascetismo» nel design ma passione militante nel dibattito culturale, di cui Mari è stato a lungo protagonista.

E impegno politico: a lui si deve, tra l’altro, la serie di elaborazioni del «segno» falce-e-martello, 1973, in mostra fino al 16 gennaio alla Galleria Milano, in contemporanea con la mostra omaggio alla Triennale (fino al 16 aprile) a cura di Hans Ulrich Obrist, inaugurata pochi giorni prima della sua scomparsa. Marito e moglie, Lea Vergine (1938-2020) ed Enzo Mari (1932-2020) lo erano diventati solo nel 1978, dopo aver «scandalosamente» convissuto ed essere stati accusati di «concubinaggio» nella Napoli degli anni ’60. Entrambi già sposati, avevano chiuso i rispettivi matrimoni e si erano uniti, trasferendosi poi a Milano dove, ognuno nel proprio ambito, sarebbero diventati due maestri. A unirli, oltre all’amore, l’assoluta libertà intellettuale che entrambi hanno sempre coltivato, e che hanno saputo trasfondere nelle loro opere.
 

Enzo Mari e Lea Vergine

Ada Masoero, 07 novembre 2020 | © Riproduzione riservata

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