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L'ex garage anni Trenta della Citroën a Bruxelles che ospita il Kanal-Centre Pompidou. © BRUSSELS: SAU-MSI.BRUSSELS/P.SA.

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L'ex garage anni Trenta della Citroën a Bruxelles che ospita il Kanal-Centre Pompidou. © BRUSSELS: SAU-MSI.BRUSSELS/P.SA.

Pop up Pompidou da Bruxelles a Bogotà

Nuovi avamposti francesi negli hub artistici emergenti nel mondo

Vincent Noce

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Con avamposti e partnership già avviati o in fase di avviamento a Metz, Malaga, Bruxelles, nei Paesi del Golfo, a Shanghai e probabilmente in America Latina, il Centre Pompidou si sta trasformando in un nuovo Guggenheim, impaziente di estendere la sua influenza a livello globale? Incoraggiato dal successo della sua filiale di Malaga e del Louvre Abu Dhabi, il presidente del Pompidou, Serge Lasvignes, punta a una serie di nuove iniziative che ritiene rafforzeranno le relazioni del museo parigino e che sarebbero difficilmente realizzabili per altra via.

Il 5 maggio, il Pompidou lancerà un programma multidisciplinare della durata di 13 mesi a Bruxelles, che sarà ospitato in un garage Citroën degli anni ’30 acquistato dalle autorità regionali (cfr. n. 383, feb. ’18, p. 25). Comprende un’esposizione di sculture in lamiera metallica, mostre di architettura, uno studio di film amatoriali e una performance che fa uso di 50 sedie pieghevoli.

NoAarchitecten (Bruxelles), EM2N (Zurigo) e Sergison Bates (Londra) sono stati scelti in marzo come architetti per la conversione del garage in un «hub culturale» denominato Kanal-Centre Pompidou. Il progetto da 140 milioni di euro avrà inizio il prossimo autunno per concludersi verso la fine del 2022. Il Pompidou manterrà attiva la programmazione durante i lavori di rinnovamento e occuperà alla fine metà dello spazio, con il resto diviso tra un museo di architettura e spazi pubblici ad accesso libero.

Lasvignes dichiara che firmerà «prima dell’estate» il contratto definitivo per la sede di Shanghai, la cui inaugurazione è prevista per la primavera del 2019 e che ospiterà cinque o sei mostre all’anno. Il mese scorso ha firmato un memorandum d’intesa con la Saudi Aramco, per estendere la collaborazione del Pompidou con il King Abdulaziz Center for World Culture di Dhahran. Dal 2013, il museo francese ha contribuito a un programma nella località che comprende mostre, film e scambi di personale. L’accordo è stato rinnovato durante la recente visita a Parigi del principe Mohammad bin Salman, poche ore prima della firma dell’accordo franco-saudita per lo sviluppo culturale della regione di Al-Ula. Qui il Pompidou sarà responsabile di parte del Museo della Civiltà araba, dopo aver contribuito a sviluppare la sezione moderna e contemporanea del Louvre Abu Dhabi.

Lasvignes, che sta ora adocchiando delle possibilità a Bogotà, vede queste iniziative come piattaforme di scambio. «Questi avamposti ci aiuteranno a rimodellare le nostre collezioni, dice. Dobbiamo essere presenti in Cina, in modo da potervi seguire la produzione artistica e collezionare opere prima che raggiungano il mercato internazionale. Questo vale anche per il mondo arabo e per altri continenti». Sottolinea il fatto che, avendo combattuto tre guerre con la Germania in meno di un secolo, la Francia si è resa conto solo di recente di quanto le sue collezioni abbiano trascurato del tutto l’arte moderna tedesca. I curatori francesi hanno anche snobbato la Pop art americana, oggi troppo costosa. Le ambizioni di Lasvignes sono state ulteriormente alimentate dalla richiesta di Malaga (la prima città a commissionare un «pop up Pompidou») di prolungare per altri cinque anni la collaborazione. «Non è la prima città che avremmo preso in considerazione in termini di sviluppo internazionale, dice, ma siamo soddisfatti: funziona bene ed è un ottimo test per gli esperimenti che oggi fioriscono altrove».

L’espansione del Pompidou contribuirà anche ad alimentare le sue finanze: il museo riceve circa 1,5 milioni di euro l’anno per ogni filiale internazionale. Il crescente riconoscimento della sua expertise ha sempre portato l’ente a trasformarsi in un fornitore di servizi «à la carte», assistendo i clienti nella progettazione di mostre, nell’apertura di centri per l’infanzia o nella pubblicazione di un catalogo (senza il «brand» Pompidou delle filiali vere e proprie). Il suo intraprendente presidente ha anche il progetto di aprire una scuola per personale specialistico nell’arco di due o tre anni.

L’espansione globale ha un senso pratico per una delle più grandi collezioni moderne e contemporanee al mondo. «Possediamo 120mila opere, il 93% delle quali sono in magazzino», dice Lasvignes. La Francia può utilizzare questa ricchezza culturale per inviare un messaggio «contro l’aggressività del mondo odierno, e per l’apertura agli scambi e ai valori universali». 

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Vincent Noce, 08 maggio 2018 | © Riproduzione riservata

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