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Chiara Massimello
Leggi i suoi articoliOttantanove polaroid, quasi tutte inedite, scattate dalla fotografa Carinthia West, negli anni ’70, tra Malibu, New York e Londra, sono parte di Polaroids, piccolo libro elegante, pubblicato dalla casa editrice indipendente inglese Ancient Magic Editions. Intime istantanee di icone del tempo, dai Rolling Stones a David Bowie, da Neil Young a Robin Williams, che raccontano la vita di musicisti e attori al di fuori dalla rappresentazione pubblica in cui siamo abituati a conoscerli.
West, fotografa, modella, attrice e scrittrice inglese nata nel 1951, fu scoperta dal fotografo dei Beatles Robert Whitaker alla fermata del bus di King’s Road, alla fine degli anni ’60. All’epoca, Whitaker condivideva la casa con Eric Clapton; quell’incontro le aprì le porte della vita artistica musicale londinese e poi internazionale, rendendola testimone di momenti indimenticabili. La macchina fotografica sempre al collo, uno sguardo sincero e naturale, la West, come disse Ronnie Wood, scattava foto «mentre stavamo vivendo», in modo quasi casuale, avendo un rapporto di amicizia e confidenza con chi rappresentava.
È interessante riflettere oggi sul fenomeno e sulla riscoperta di questo lavoro a distanza di cinquant’anni, ragionare sulla differenza di approccio e di realizzazione delle immagini. West racconta un mondo retrò, vintage ma affascinante, fatto di camicie attillate e pantaloni a zampa, in cui la rappresentazione della celebrità aveva ancora la possibilità di essere spontanea, non costruita, dunque più affascinante e vera. Per gli artisti, non c’era ancora la consapevolezza di sé nel mondo, come accade invece oggi; pettinature e abiti erano casuali, a volte bizzarri, e c’erano molte meno restrizioni, più stupore e divertimento.
Sfogliando il libro, si percepisce chiaramente come la fotografa fosse parte del gruppo, presente non per caso, coinvolta nella situazione senza avere interessi economici specifici, capace di rendere un’atmosfera vera con una prospettiva personale e intensa. Certamente, nelle immagini di West collabora alla creazione di quest’effetto anche l’uso della polaroid, icona pop del tempo, nata nel 1943 grazie al lavoro di ricerca del chimico americano Edwin Herbert Land, largamente usata negli anni ’60 e oggetto di culto per molti artisti che ne amavano l’estetica amatoriale, lo stile imperfetto e i colori vagamente innaturali.
Forse un po’ antenata degli smartphone, senza le correzioni automatiche che oggi rendono fintamente perfetto qualsiasi scatto, la polaroid aiuta Carinthia West, e un po’ anche noi, a riscoprire il piacere di una semplicità non riproducibile, resa a luce naturale, a fuoco fisso e in formato rigorosamente quadrato. Non ultimo, in un’epoca in cui le fotografie raccontano troppo spesso di noi e di quello che facciamo, ma sempre meno di chi siamo veramente, l’istantanea rimanda a un’immagine molto più vera, e per sua struttura non consente di realizzare selfie e di essere poi condivisa sui social. Nonostante immediatezza e spontaneità siano fattori importanti negli scatti di West, di per sé non basterebbero a rendere uniche queste immagini.
Indubbiamente i soggetti ritratti, sempre grandi celebrità del XX secolo, soddisfano quella curiosità di conoscere la vita privata di pop star e attori che anima la loro fama e tutto il mondo del collezionismo che ruota intorno ad essa. Se si presta attenzione, visitando mostre o sfogliando libri e cataloghi d’asta, il potere dell’icona influenza la nostra percezione dell’immagine in modo determinante e a seguire, quando in vendita, anche il prezzo dell’opera cambia, se a essere ritratto è un personaggio noto o molto popolare. Non è solo un fatto di divismo: il riconoscimento della persona in fotografia crea un meccanismo di identificazione e di compartecipazione con la storia o il mito che rappresenta.
A volte poi, la notorietà del personaggio ritratto è tale che trascina con sé anche la fama dell’artista che ha prodotto lo scatto, in una sorta di osmosi artistica. Capita così nel bellissimo bianco e nero di Arnold Newman che raffigura Igor Stravinskij appoggiato al suo pianoforte a coda (1946), o nel servizio che Bert Stern realizzò con una sensualissima Marilyn Monroe (1962). Richard Avedon sarebbe sempre Avedon anche senza lo scatto di Samuel Beckett, mani in tasca e sguardo magnetico (1979), così come Chuck Close senza l’aver reso meravigliosa e dorata Kate Moss (2005). Ma senza dubbio, l’aver fotografato Elisabetta II così regale ed elegante nel 2004, ha regalato a Chris Levine un’enorme popolarità.
Carinthia West non scattava veri e propri ritratti in posa, ma ha saputo cogliere il momento in cui si è trovata a vivere e il rapporto di vera amicizia instaurato con attori e musicisti. Con le sue fotografie, ha collaborato a creare il loro mito che, contemporaneamente, ha favorito la sua fama di fotografa. A distanza di quarant’anni, questa intima relazione sostiene ancora il suo lavoro.

Uno degli scatti di Carinthia West al matrimonio di Tanya ed Eric Idle a New York: da sinistra Jerry Hall, Mick Jagger, Gilda Radner, Jane Bonham-Carter e David Bowie (particolare)
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