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Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliLa relazione tra lo scorrere tempo, la memoria, la percezione del singolo istante e le molteplici possibilità del destino collettivo e individuale sono la base della poetica di Christian Boltanski, l’artista francese nato nel 1944 cui la Fondazione Merz dedica dal 3 novembre al 31 gennaio la personale «Dopo», curata da Claudia Gioia. Ad accogliere il visitatore al primo piano del museo sono 200 grandi fotografie stampate su tessuto e appese al soffitto, ritraenti volti, sguardi e attimi di vita quotidiana. Tali immagini, provenienti dall’archivio di Boltanski, ondeggiano mosse dalle correnti d’aria e dal passaggio dei visitatori, trasformando lo spazio in un mondo parallelo in cui non esistono il prima e il dopo, la relazione di causa ed effetto, ma soltanto una casuale simultaneità degli eventi. La percezione lineare del tempo torna invece in «Entre Temps», un lavoro in cui si susseguono immagini nelle quali il volto dell’artista è prima giovane, poi adulto e infine si dissolve in un’ombra, una traccia che scompare nella dimensione del sogno e del ricordo. L’installazione successiva è composta di oggetti le cui ombre filiformi sono proiettate sulla parete dando luogo a un buio labirinto onirico che lo spettatore è invitato ad attraversare come un sonnambulo, bruscamente risvegliato dal video «Clapping hands», dove un rumoroso applauso omaggia l’opera di Mario Merz. Nel piano sotterraneo della Fondazione sono invece impilati scatoloni ricoperti di cellophane, su cui deboli luci scrivono la parola «dopo». È come una cantina, un deposito segreto nel quale Boltanski custodisce tutto ciò che resta delle esperienze, dei sogni e delle paure di ciascun membro dell’umanità. È una raffigurazione dell’inconscio personale e collettivo, ma è anche il limite dell’umana conoscenza.
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