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All'asta le opere del museo fantasma

Laura Lombardi

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Definitivamente chiuso dal maggio 2014, da quando il curatore fallimentare della Richard Ginori, Sandro Quagliotti, ha dichiarato la cessata attività della Richard Ginori, il Museo della Manifattura di Doccia è tuttora allestito con le sue opere, senza essere accessibile neppure agli studiosi e ai ricercatori. 

Il museo è ormai poco più di una sorta di serbatoio per prestiti alle grandi mostre, soprattutto straniere, come quella di Parigi «Una dolce vita? Dal Liberty al Design italiano 1900-1940» che ora si sta spostando al Palazzo delle Esposizioni a Roma (cfr. lo scorso numero di «Vernissage», pp. 6-7), dove sono esposti oltre dieci pezzi della collezione provenienti da Doccia. 

Il prossimo passo, dopo oltre un anno, sarà la messa all’asta dell’intera collezione, forse addirittura entro il 2015; collezione che dal 2012 è stata vincolata all’edificio che la accoglie, proprio per preservare il suo legame storico con quel territorio. Inizialmente il valore stabilito fu altissimo, circa 26 milioni di euro, quasi una mossa per salvare la Ginori dal fallimento: infatti valutando molto il patrimonio del museo, dal momento che questo era vincolato alla Richard Ginori, si sperò che potesse essere usato per pagare le tasse e alleggerire il debito dell’azienda (ricordiamo che la proprietà precedente era della Starfin, società di fondi di investimento che faceva capo a Roberto Villa e aveva come amministratore delegato Mario Lorenzoni). Ma la cosa non andò a buon fine e, una volta avvenuto il fallimento, questa mossa si rivelò a doppio taglio, perché il museo costava moltissimo e nessuno se ne sarebbe fatto carico a quel prezzo. Ora la valutazione è molto inferiore, intorno ai 6-7 milioni di euro. «La Gucci, nuova proprietaria della Richard Ginori, inizialmente si era proposta di tenere aperto il museo pagando una sorta di affitto, incontrando però l’opposizione di Quagliotti, il quale voleva giungere a una soluzione più definitiva», spiega Oliva Rucellai, già curatrice del museo e che tuttora ne segue i prestiti. Gucci è tra i possibili (anzi, fortemente auspicati) acquirenti, ma la Rucellai con l’Associazione Amici di Doccia vorrebbe non ancorare il museo a un solo proprietario il quale, teme, se ne potrebbe servire soltanto come strumento di marketing, prestando le opere in giro per il mondo. «Noi desidereremmo che il museo proseguisse la sua attività di ricerca, didattica, legata al territorio e quest’asta sarebbe l’occasione per renderlo indipendente dall’azienda a cui è legato. L’ideale sarebbe una fondazione con partner pubblici e privati e per questo ci eravamo illusi che la Regione Toscana potesse aiutarci, ma la cosa non è per ora andata in porto». 

Nel frattempo il museo fantasma, sempre col sostegno dell’Associazione (che ha svolto tra il 2006 e il 2010 la catalogazione dei 14mila pezzi contenuti nello stabilimento, e che pubblica la rivista, edita da Polistampa, i «Quaderni degli Amici di Doccia») continua a prestare i suoi preziosi beni: la prossima mostra, a dicembre, è quella a Palazzo Madama di Torino: «Gio Ponti e la Richard Ginori. L’eleganza della modernità». 

Sul futuro non si possono fare previsioni: l’unica cosa certa è che le opere rimarranno dove sono, all’interno dell’edificio che le custodisce, ma sulla loro fruizione in quella sede tutto dipende dal futuro proprietario. E per ora, al di fuori della Gucci, non si conoscono altri pretendenti. 

Laura Lombardi, 01 novembre 2015 | © Riproduzione riservata

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