Il museo universale di Google

Amit Sood, direttore del Google Cultural Institute: «All’inizio si temeva che internet sostituisse l’esperienza reale. Ora sappiamo che, stimolata dalle visioni digitali (realtà virtuale e aumentata, immagini 3D...), più gente vuole vedere arte»

Amit Sood, direttore del Google Cultural Institute
Anna Somers Cocks |  | Londra

Amit Sood, il direttore del Google Cultural Institute e dell’Art Project nato nella metropoli indiana di Mumbai, mi mostra al computer un programma che avrebbe fatto urlare di gioia i surrealisti. È X Degrees of Celebration degli artisti Mario Klingemann e Simon Doury, che utilizzano algoritmi di visione al computer per creare connessioni casuali tra due  opere d’arte qualsiasi, come un gioco di «cadavres exquis» elevato alla centesima potenza.

È un prodotto della loro sezione «Experiments», in cui inseriscono artisti oggi all’avanguardia nel campo della tecnologia e li connettono con il loro database di immagini e i loro musei partner in modo da farli collaborare. Fa parte del Google Arts & Culture, il settore non profit di Google fondato nel 2011 nell'ambito del Google Cultural Institute per digitalizzare le opere d’arte nei musei. Evita di proposito di specificare il termine «cultura»,
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