Biennale 2016: è finita l’epoca delle archistar

Alejandro Aravena ha convinto quasi tutti, spostando i termini del problema dalle architetture iconiche, che ci saranno sempre, alle logiche del profitto che non rispondono ai bisogni

Alejandro Aravena e Paolo Baratta alla conferenza stampa di presentazione di «Reporting from the Front»
Michele Roda |

Venezia. Teatro pienissimo, luci basse, due uomini al comando: Paolo Baratta in giacca e cravatta, Alejandro Aravena in camicia bianca. La conferenza stampa inizia alle 11.05, orario quasi perfetto.
Partenza efficientissima, con l’immancabile sfilza di numeri da cui gronda soddisfazione: 65 Paesi partecipanti (per cinque è la prima volta: Filippine, Lituania, Nigeria, Seychelles, Yemen), 88 équipe di architetti impegnati nella mostra principale, «Reporting from the Front», quasi 3mila giornalisti accreditati da tutto il mondo. Poi il presidente della Biennale di Venezia passa su un piano più emozionale: «Grazie Aravena. Le prime reazioni dimostrano che i tempi erano giusti per questo genere di tematiche. Affrontate con chiarezza, ci dimostrano che l’architettura è strumento per il nostro spazio comune. La Biennale è una macchina del desiderio, non dà risposte. Ma incoraggia la
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